C’è un equivoco diffuso nelle imprese italiane, soprattutto nelle PMI: quello secondo cui solo i manager o i professionisti “colti” ambiscono a un lavoro che abbia senso, mentre per operai e impiegati operativi, i cosiddetti blue collar, che indossino una tuta o una camicia, il motore principale resti il salario.
È una convinzione comoda, ma pericolosa.
La piramide rovesciata: aggiornare Maslow nel 2025
Nel 1943 Abraham Maslow elaborò la celebre piramide dei bisogni umani. Alla base della motivazione umana c’è innanzi tutto soddisfare le necessità fisiologiche. Subito dopo, cerchiamo sicurezza. Soddisfatte queste necessità cerchiamo senso di appartenenza, stima dagli altri e autorealizzazione. Nel suo tempo, durante la seconda guerra mondiale, era logico pensare che la priorità fosse la sopravvivenza. Oggi, quella piramide va aggiornata. Perché le persone, tutte, anche quelle in ruoli operativi, si muovono ormai su più livelli contemporaneamente.
Le ricerche più recenti, e l’esperienza quotidiana nei reparti e negli uffici delle nostre PMI lo dimostrano: tutti cercano riconoscimento, autonomia e valore. Vogliono sapere che ciò che fanno ha un impatto, un senso. Vogliono sentirsi parte di qualcosa di più alto, non semplici esecutori.
Non è (solo) questione di soldi: la motivazione cambia con le stagioni della vita
Pensare che “basta pagarlo di più” sia la chiave per motivare un collaboratore operativo è un errore tanto diffuso quanto miope. Non perché il denaro non conti, è ovviamente essenziale per coprire i bisogni primari e garantire sicurezza, ma perché non è sempre la leva più potente, e certamente non è la più duratura.
La scala di Maslow, se attualizzata, ci suggerisce che la motivazione si muove su più piani, in relazione al momento di vita in cui si trova la persona. Ecco alcuni esempi concreti:
- Marco, 24 anni, operaio metalmeccanico al primo impiego.
Per lui la priorità è la sicurezza economica e la stabilità. Ma già oggi cerca anche uno scopo, un ambiente che lo rispetti e lo formi. Se il capo lo tratta come un numero, si disconnette. E se può se ne va, cambia azienda. - Lucia, 37 anni, impiegata amministrativa e madre di due figli.
Ha bisogno di equilibrio vita-lavoro, di flessibilità e di un ruolo che le permetta di esprimere competenze. Il premio economico una tantum è benvenuto, ma la vera leva è sentirsi ascoltata e valorizzata. - Giuseppe, 56 anni, magazziniere esperto.
Ha superato la fase della corsa al salario. Cerca riconoscimento, rispetto, un modo per “restituire” la sua esperienza. Ama risolvere problemi tecnici, dare consigli ai più giovani.
Queste differenti casi mostrano una verità semplice: non c’è una sola motivazione valida per tutti. E non ce ne è una valida per sempre.
Tre leve pratiche per motivare chi “fa andare la macchina”
- Discrezionalità nel problem solving
Delegare davvero significa dare alle persone il margine per decidere come risolvere un problema. Un manutentore che può suggerire una miglioria, un’addetta ai pagamenti che propone una semplificazione… sono tutti esempi di engagement reale. Se possono scegliere, decidere entro un perimetro di responsabilità, si sentono protagonisti. Quindi motivàti. - Feedback e riconoscimento visibile
Serve un sistema che valorizzi pubblicamente i comportamenti virtuosi: puntualità, qualità, collaborazione. Anche chi timbra un cartellino ha bisogno di sentirsi visto e riconosciuto nel suo valore. - Coinvolgimento nei “perché” dell’azienda
Se ogni collaboratore conosce il perché di ciò che fa – lo scopo, il cliente finale, l’impatto – sarà più facile che si senta parte di un progetto. Il senso è il nuovo benefit.
Otto bucce di banana di chi guida un team.
Pensare:
- “Tanto per loro conta solo lo stipendio”
Riduttivo. Il denaro è fondamentale, ma sopra una certa soglia serve il senso, l’autonomia, percepire la stima. - “Non hanno voglia di responsabilità, vogliono solo eseguire”
Falso. Molti collaboratori non sono abituati a pensare perché nessuno ha mai chiesto loro di farlo. - “Potenziare le soft skill serve solo ai manager e agli impiegati di concetto”
Errore strategico. La comunicazione, la responsabilità, la capacità di iniziativa sono fondamentali anche in magazzino o alla reception. - “Se permetto discrezionalità, sbagliano”
A volte sì, ma sbagliando si cresce. L’importante è fornire cornici chiare e occasioni per migliorare. - “Meglio non dire troppo, si potrebbero agitare”
La trasparenza genera fiducia. La reticenza genera voci di corridoio, sfiducia, sabotaggio passivo. - “Non chiedono nulla, quindi va tutto bene”
Il silenzio non è sempre un segnale positivo. A volte è rassegnazione. Il compito del leader è ascoltare anche ciò che non viene detto. - “I giovani non hanno voglia di lavorare”
Hanno voglia di lavorare bene. Cercano contesti dove possano crescere, non sopravvivere. - “Qui si fa come si è sempre fatto”
La frase che spegne ogni iniziativa. Un’azienda che la adotta smette di evolvere e prepara la propria obsolescenza.
Investire nel capitale motivazionale
Oggi non possiamo dare per scontato che basti pagare i collaboratori per ottenerne il meglio. Serve un investimento più profondo: dare loro strumenti, fiducia e senso. Anche chi indossa una tuta o lavora davanti a uno schermo desidera una cosa che non si compra: sentirsi stimato e protagonista di ciò che realizza.
La frase su cui riflettere
“Il modo in cui un leader tratta i suoi collaboratori è il vero specchio della sua leadership”, Tom Peters, autore di management.
