Negli anni 60, l’imprenditore era un’entità lontana, quasi mitologica. Chiuso in un ufficio all’ultimo piano, visibile solo attraverso ordini e circolari interne, parlava poco e solo per vie ufficiali. Un po’ come il “mega-direttore galattico” dei film di Fantozzi: inavvicinabile, ieratico, spesso ridotto a un’ombra dietro una scrivania monumentale. Oggi però il paradigma si è ribaltato. I founder parlano ogni giorno a centinaia di migliaia di persone e spesso lo fanno in prima persona, anche senza mai passare in tv. La comunicazione da accessorio è diventata una leva strategica del fare impresa. Un cambiamento che realtà come Chapeau Media – la media company (sopra, il team dell’azienda) che ogni settimana documenta le storie più emblematiche dell’imprenditoria italiana – osservano e raccontano da vicino.
Dall’imprenditore irraggiungibile al volto che ispira
Per molti decenni, chi guidava un’azienda lo faceva nel silenzio degli uffici, tra pile di faldoni impolverati, segretarie al telefono e citofoni chiusi. Il carisma era considerato una debolezza, il riserbo una virtù. L’imprenditore era un’autorità verticale: non si raccontava, non si esponeva. Le rare volte che parlava lo faceva tramite terzi o con un linguaggio tecnico di difficile fruizione.
Negli anni Ottanta, poi, l’avvento della tv commerciale ha introdotto il concetto di leadership visiva: con Silvio Berlusconi, l’imprenditore diventa un personaggio mediatico, una sorta di influencer ante litteram che cattura l’attenzione dietro uno schermo in technicolor. Le reti private appena nate – Rete 4, Canale 5 e Italia 1 – trasformano l’informazione in puro intrattenimento e l’imprenditore in volto riconoscibile.
Sono gli anni degli spot martellanti con jingle memorabili, dei talk show generalisti e dei palinsesti costruiti attorno al carisma. Il fondatore di un’azienda non è più solo un nome in calce al bilancio, ma una figura che si posiziona culturalmente: sorride, racconta, “entra” in grande spolvero nelle case degli italiani in prima serata.
Il racconto del founder: da contenuto a cultura imprenditoriale
Ma è solo con l’arrivo dei social media, dei podcast e dei video online che il racconto si fa personale, intimo e autentico. Un reel girato in ufficio, un podcast registrato nel retro di un coworking, una storia Instagram mentre si fa una call o un post su LinkedIn che racconta il rientro da una trasferta: sono queste le nuove finestre attraverso cui i founder parlano.
E non è solo una questione di stile comunicativo, è una risposta diretta a ciò che il pubblico si aspetta: oggi, un imprenditore che non comunica è percepito come distante. Lo dimostra una ricerca McKinsey, dove l’81% dei consumatori under 35 afferma di sentirsi più legato a un’azienda se conosce la storia del suo founder. In questo contesto, viene da sé che la capacità di raccontarsi è diventata una componente identitaria. Non è solo “branding”, è cultura d’impresa.
“Oggi non basta costruire un’azienda, bisogna anche saperla raccontare. Comunicare non significa vendersi, ma prendersi la responsabilità di ispirare chi viene dopo di noi.” – dichiara Filippo Carabelli, co-fondatore di Chapeau Media.
Ma dove e come si raccontano oggi gli imprenditori?
I canali più efficaci per costruire questa relazione sono i podcast e i contenuti video long-form, che permettono un racconto autentico, senza i filtri della comunicazione corporate. Secondo una ricerca realizzata da NielsenIQ per Audible, in Italia nel 2023 gli ascoltatori di podcast erano oltre 17 milioni di ascoltatori, dato che non ha smesso di crescere.
Su YouTube, invece, i video long-form che raccontano il “dietro le quinte” del successo, con errori, imprevisti e svolte inattese, hanno raddoppiato il tempo medio di visualizzazione rispetto ai contenuti didattici o corporate (Digital News Report, 2024).
Chapeau Media e la nuova narrativa imprenditoriale
In questo scenario, Chapeau Media si è ritagliata un ruolo preciso: ogni settimana, racconta storie di imprenditori italiani che hanno scelto di esporsi non per promuoversi, ma per condividere ciò che hanno imparato nel loro viaggio imprenditoriale. Gli episodi in formato documentario restituiscono una fotografia autentica: le ossessioni, gli errori, i dubbi, ma anche la visione e il coraggio che servono per fare impresa nel 2025. Un racconto che non idealizza, ma ispira.
E se oggi l’imprenditore ha sostituito il “grande capo” con un microfono e uno sguardo in camera, è perché ha capito che le persone seguono più volentieri chi si mostra vulnerabile che chi si nasconde dietro un logo.
Tre spunti per chi guida (o vuole guidare) un’impresa oggi
- Metterci la faccia.
Il pubblico vuole conoscere le persone dietro il brand. Raccontarsi non è egocentrismo, ma responsabilità. - Scegliere il tono giusto.
Non servono slogan o retorica. Le storie reali, con inciampi, deviazioni e intuizioni, sono quelle che rimangono più impresse. - Fare della comunicazione un asset, non un post.
Essere costanti, scegliere i canali giusti, curare il racconto nel tempo è ciò che costruisce fiducia.