Unimpresa: le tensioni sul debito in Francia minano la stabilità dell’Eurozona

Il rischio Francia si conferma un elemento di pressione sulla Banca centrale europea. Debito pubblico oltre il 110% del Pil, deficit persistente e instabilità politica hanno già portato a un aumento dei premi per il rischio, sebbene finora i mercati abbiano reagito con moderazione: tra metà e fine agosto lo spread Btp-Bund è salito di 10 punti base, quello Bono-Bund di 7, restando su livelli contenuti.

Il vero nodo riguarda le prossime decisioni della Bce. Un eventuale inasprimento generalizzato delle condizioni finanziarie, incoerente con il target d’inflazione, potrebbe spingere la BCE a un taglio dei tassi. Al contrario, tensioni concentrate sul debito francese chiamerebbero in causa il Transmission Protection Instrument (TPI), che tuttavia non può essere utilizzato per compensare squilibri derivanti da scelte politiche interne.

È quanto si legge in un paper del Centro studi di Unimpresa, secondo cui la Francia pesa per oltre il 20% del debito complessivo dell’eurozona e più della metà dei suoi titoli è in mano a investitori esteri uno shock di fiducia a Parigi avrebbe ripercussioni immediate sull’intera area euro. «Il rischio Francia non può essere sottovalutato: la seconda economia dell’area euro vive una condizione di instabilità politica e fiscale che rischia di pesare non solo sui mercati, ma anche sulle scelte della Banca centrale europea.

La Bce non può trasformarsi in un ammortizzatore delle difficoltà domestiche di un singolo Paese, tanto meno quando si tratta di un fondatore dell’Unione. È indispensabile che Parigi recuperi credibilità sul fronte dei conti pubblici, perché dalla solidità della Francia dipende l’equilibrio complessivo dell’eurozona. L’Italia, che ha compiuto sforzi significativi in termini di disciplina fiscale, ha tutto l’interesse a che la stabilità europea non sia messa a rischio da fragilità politiche altrui» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora

Secondo il Centro studi di Unimpresa, la Francia, seconda economia dell’area euro con un prodotto interno lordo pari a circa 3.200 miliardi di euro (2024), rappresenta oggi uno degli elementi di maggiore vulnerabilità per la stabilità finanziaria europea. L’elevato livello di debito pubblico, salito oltre il 110% del Pil, e la persistente condizione di disavanzo (deficit superiore al 5% nel 2024) si combinano con una cronica instabilità politica che ostacola l’attuazione di politiche fiscali credibili e di medio-lungo periodo. Le agenzie di rating hanno più volte segnalato i rischi associati a tale scenario: Fitch e Moody’s mantengono un outlook negativo, mentre S&P ha abbassato il giudizio a “AA-” già nel 2023.

Evidenze di mercato

Al momento, la reazione dei mercati appare contenuta. Tra il 14 e il 27 agosto, gli spread Btp-Bund e Bono-Bund sono aumentati rispettivamente di 10 e 7 punti base, rimanendo tuttavia su livelli molto bassi rispetto ai picchi superiori ai 300 punti base osservati nell’ultimo decennio. Anche i tassi swap decennali, oggi attestati intorno al 2,6-2,7%, risultano inferiori rispetto a luglio, e lo spread medio tra titoli di Stato e tassi swap resta compreso nel range osservato negli ultimi dodici mesi.

La Francia, tuttavia, pesa per oltre il 20% del debito complessivo dell’area euro: un peggioramento significativo delle sue condizioni di finanziamento avrebbe inevitabili ripercussioni sulla curva dei rendimenti degli altri Paesi e sul costo medio del debito sovrano dell’Unione eurpoea. Da notare, inoltre, che oltre la metà del debito francese è detenuta da investitori esteri, con conseguente maggiore vulnerabilità a eventuali shock di fiducia rispetto al caso italiano, caratterizzato da una più robusta componente di detenzione domestica.

Implicazioni per la politica monetaria

Il rischio Francia condiziona direttamente le opzioni di politica monetaria della Banca centrale europea. In caso di restrizione generalizzata delle condizioni finanziarie, incoerente con gli obiettivi di stabilità dei prezzi (inflazione tornata verso il target del 2%), l’istituto di Francoforte potrebbe considerare un’accelerazione del ciclo di riduzione dei tassi. Diverso il caso in cui le tensioni restassero concentrate sul mercato francese, con effetti sulla trasmissione della politica monetaria limitati a pochi Paesi: in questo scenario, lo strumento di riferimento sarebbe il Transmission Protection Instrument (Tpi).

Va tuttavia evidenziato che il Tpi non può essere utilizzato per compensare difficoltà derivanti da scelte politiche interne o da politiche fiscali insostenibili. Ne deriva che l’intervento della BCE potrebbe essere giustificato solo in funzione di contenimento di eventuali fenomeni di contagio verso altri Paesi, non per sostenere direttamente la Francia.

Il cosiddetto “rischio Francia” ha dunque cessato di essere una questione puramente nazionale, trasformandosi in un fattore di condizionamento per l’intera area euro e per la politica monetaria della Bce. L’instabilità politica e fiscale francese mette in evidenza un paradosso: se in passato l’attenzione si è concentrata sui Paesi periferici (Italia, Spagna, Grecia), oggi è un Paese fondatore e tradizionalmente percepito come parte del “nocciolo duro” a minacciare l’equilibrio complessivo. Per l’eurozona, la sfida è duplice: da un lato garantire coerenza e credibilità alle regole fiscali, dall’altro assicurare l’uniformità della trasmissione della politica monetaria senza trasformare la Bce in un ammortizzatore delle fragilità politiche nazionali.

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