L’AI da sola non basta a generare fedeltà: il futuro del marketing è fatto di dati, trasparenza e personalizzazione in tempo reale

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  • La chiave del successo per le aziende non è più solo raccogliere i dati, ma utilizzare l’AI per trasformarli in engagement veramente significativi, offrendo esperienze che sembrino personali e non automatizzate. Eppure, per molti consumatori, esperienze così restano ancora un’eccezione: solo il 45% di questi si sente davvero compreso dai propri brand.
  • La personalizzazione è ormai diventata un requisito essenziale per le aziende: oggi il 26% dei clienti abbandonerebbe un brand che non offre comunicazioni personalizzate.
  • La nuova frontiera è la personalizzazione in tempo reale, adattare cioè istantaneamente le interazioni in base al comportamento, alle preferenze o al contesto del cliente portando a esperienze più rilevanti e coinvolgenti: l’88% dei consumatori è più propenso ad acquistare quando l’esperienza è personalizzata in tempo reale.
  • La privacy dei dati costituisce ancora un elemento di minaccia per costruire relazioni di fiducia con i propri clienti: solo il 15% dei consumatori intervistati dichiara di fidarsi pienamente dei brand riguardo alla condivisione delle proprie informazioni personali, mentre il 61% ritiene che le aziende non abbiano a cuore la loro privacy.
  • Oltre alla protezione dei dati, alla base di una relazione di fiducia oggi contano anche la reattività del servizio clienti e la facilità nell’ottenere rimborsi, citati dal 55% dei consumatori
  • Se da un lato l’adozione dell’AI da parte delle aziende è in crescita, dall’altro sembrerebbe che esse la stiano adottando senza comprendere appieno il suo potenziale: l’81% dei brand dichiara di usare l’AI solo perché integrata nei sistemi esistenti e senza una reale strategia

Oggi non basta più sapere che Alex, runner amatoriale, porta la taglia 43 di scarpe da corsa. Il suo brand preferito conosce infatti qual è il modello di scarpa che ama di più, gli ricorda quando è il momento di sostituire il paio usurato e persino gli consiglia nuovi percorsi per correre in base alla sua posizione. Ogni interazione sembra pensata apposta per lui: intelligente, rilevante e personalizzata.

Questa è la nuova frontiera del marketing in un mondo dominato dall’intelligenza artificiale: anticipare i bisogni dei clienti e farli sentire veramente compresi grazie a esperienze coerenti e autentiche. La chiave del successo per le aziende non è più solo raccogliere i dati, ma saperli usare con intelligenza, mescolando automazione e autenticità. Trasformando cioè i dati dei clienti in un’interazione veramente significativa, attraverso momenti che sembrano personali e non programmati. Eppure, per molti consumatori, esperienze così restano ancora l’eccezione, non la regola.

È quanto emerge dal sesto rapporto annuale “The State of Customer Engagement”, curato da Twilio, società americana leader nel settore dell’engagement dei clienti presentata durante un incontro per addetti ai lavori organizzato da Exelab, System Integrator specializzato nello sviluppo di progetti CRM, Marketing Automation, Omnicanalità ed AI. La ricerca, condotta su 7.640 consumatori e 637 leader aziendali in tutto il mondo, analizza l’impatto dell’AI sulle strategie di marketing e delinea cinque trend che mostrano come le aziende possano colmare il divario tra aspettative dei clienti e promesse tecnologiche.

1. L’AI deve servire anche i consumatori, non solo le aziende

L’intelligenza artificiale è ormai la tecnologia su cui le aziende stanno puntando maggiormente, integrandola nella gestione dei flussi di lavoro, nel servizio clienti e nel marketing: secondo la ricerca, il 96% delle organizzazioni che utilizza l’AI per personalizzare le interazioni con i consumatori dichiara vantaggi aziendali misurabili, il 51% segnala tempi di risposta più rapidi, il 47% una migliore organizzazione dei dati e il 45% un aumento della soddisfazione dei clienti.

Eppure, la percezione dei consumatori non sempre corrisponde a questi risultati: essi vedono il suo potenziale, ma vogliono casi d’uso reali che dimostrino come possa effettivamente migliorare la loro esperienza con i brand risolvendo problemi, velocizzando i servizi e semplificando le interazioni. Se da un lato infatti il 55% degli intervistati dichiara di essere stanco di sentir parlare di intelligenza artificiale sui media e il 45% ammette di non interessarsene affatto, dall’altro il 71% dei consumatori a livello globale crede che l’AI potrà avere un impatto positivo sulle loro esperienze. In particolare, le generazioni più giovani si mostrano particolarmente fiduciose: il 73% della Gen Z e il 76% dei Millennials è convinto che l’AI migliorerà l’interazione con le aziende, contro il 69% della Gen X e il 61% dei Baby Boomer.

Ad aumentare la diffidenza nei confronti dell’AI c’è poi la preoccupazione sulla privacy dei propri dati: nonostante l’88% delle aziende affermi di essere chiara riguardo all’uso dell’AI, il 61% dei consumatori si dichiara scettica nei confronti dell’uso dei propri dati da parte dei brand.

I clienti si aspettano dunque trasparenza, controllo sui propri dati (l’84% desidera regolare personalmente le impostazioni di personalizzazione), possibilità di interazione umana (il 54% pretende un’opzione di fallback verso un operatore) e chiarezza: il 54% vuole sapere quando sta parlando con un’AI e il 49% chiede informazioni esplicite su come vengono utilizzati i propri dati.

2. La personalizzazione oggi è lo standard minimo: la nuova frontiera è farlo in tempo reale

Offrire ai clienti esperienze personalizzate è ormai considerato un requisito essenziale sia dai brand sia dagli utenti: secondo il report, l’87% delle aziende intervistate la indica come priorità assoluta, in crescita rispetto al 76% del 2024, e il 26% dei consumatori dichiara che abbandonerebbe un brand da cui riceve contenuti non personalizzati. Per questo i marchi stanno investendo molto su questo fronte, utilizzando dati contestuali e AI per creare esperienze su misura che aumentino il coinvolgimento degli utenti, guidino le conversioni e costruiscano una fedeltà duratura.

Eppure, riguardo agli sforzi che i brand mettono in campo per offrire personalizzazione, dal report emerge un divario tra la percezione delle aziende e quella dei consumatori: le prime valutano infatti la propria attività con un punteggio medio di 4,1 su 5, ma solo il 16% dei clienti considera eccellenti le esperienze ricevute, il 44% le giudica buone e il 31% nella media. Secondo quanto emerge dal sondaggio, a essere decisiva è la scelta del canale utilizzato, in quanto anche il messaggio più personalizzato risulta inefficace se consegnato tramite il mezzo sbagliato.

Quanto ai ritorni, l’investimento su strumenti di personalizzazione sembrerebbe efficace: il 75% delle aziende afferma infatti che genera un aumento della spesa media dei clienti del 32% per acquisto, mentre il 54% dei consumatori dichiara di spendere di più quando riceve interazioni su misura, con un incremento medio del 37%. Anche in questo caso però il comportamento dei consumatori varia a seconda della generazione: il 65% della Gen Z e il 62% dei Millennials sono più propensi a spendere di più se la comunicazione è personalizzata, contro il 45% della Gen X e il 35% dei Baby Boomers. Non solo, la ricerca dimostra come l’impatto della personalizzazione vada oltre le vendite immediate, costruendo relazioni a lungo termine: quando l’engagement è in linea con le preferenze dei clienti, infatti, il 45% di essi effettua acquisti ripetuti e il 43% consiglia il brand a familiari e amici.

Ma personalizzare non basta più: la nuova frontiera è farlo in tempo reale, adattare cioè istantaneamente le interazioni in base al comportamento, alle preferenze o al contesto del cliente portando a esperienze più rilevanti e coinvolgenti: il 90% delle aziende la utilizza già, e in media essa genera il 44% dell’engagement complessivo. L’88% dei consumatori si dichiara più propenso a completare un acquisto se la personalizzazione avviene in tempo reale, con un 35% che lo considera un fattore decisivo.

3. L’AI sta rivoluzionando la personalizzazione, ma molte aziende la usano senza strategia

Se da un lato l’adozione dell’AI da parte delle aziende è in crescita, dall’altro sembrerebbe che esse la stiano adottando senza comprendere appieno il suo potenziale. Secondo quanto emerge dalla ricerca, infatti, il 97% dei brand prevede di aumentare il proprio budget per strumenti di intelligenza artificiale nei prossimi cinque anni, ma l’81% confessa di utilizzarli solo perché già integrati nei software in uso, senza una vera strategia. Questo impatta sulla percezione dei clienti, infatti a fronte di un 56% delle organizzazioni che dichiara di usare l’AI per creare esperienze personalizzate, solo il 45% dei consumatori afferma di sentirsi realmente compreso. Inoltre, se il 90% delle aziende sostiene di offrire interazioni in tempo reale, in realtà solo il 44% dell’engagement avviene effettivamente con questa modalità.

Ad oggi le applicazioni più diffuse dell’intelligenza artificiale all’interno dei processi aziendali riguardano 3 aree: assistenza clienti (il 57% ha implementato assistenti virtuali alimentati da AI), personalizzazione (il 56% delle aziende la usa per raccomandazioni e offerte personalizzate) e affidabilità (il 54% sta utilizzando l’AI per costruire esperienze più coerenti e trasparenti).

Rispetto all’applicazione nell’ambito della personalizzazione, le aziende che la utilizzano stanno registrando risultati evidenti. Gli indicatori di successo più utilizzati sono il risparmio di tempo nell’engagement con i clienti, riducendo lo sforzo manuale e velocizzando le interazioni (57% delle aziende), la capacità di adattarsi alle esigenze e preferenze in evoluzione dei clienti (56%) e la qualità dei dati, sempre più precisi e affidabili (52%).

4. Privacy dei dati: affidabilità e trasparenza sono la nuova base della fiducia

Il tema della privacy dei dati resta ancora oggi un tema delicato, che mina la fiducia dei clienti nei confronti dei brand: secondo il sondaggio, solo il 15% dei consumatori si fida completamente, contro un 85% che manifesta dubbi persistenti sulla sicurezza e la gestione responsabile delle proprie informazioni personali. Ben il 61% degli utenti, inoltre, ritiene che le aziende non abbiano davvero a cuore i loro interessi. Timori che sembrerebbero fondati: il 90% delle aziende ha dichiarato infatti di aver avuto problemi legati alla conformità con le normative vigenti (il 53% di queste riguardo al tema della protezione dei dati, mentre il 51% riguardo alla sicurezza informatica).

La paura di condividere le proprie informazioni personali, riguarda in particolare alcune tipologie di dati, come reddito, attività sui social media, posizione o stato civile, mentre i consumatori sembrerebbero invece più propensi a condividere informazioni che riguardano genere (92%), età (87%) e preferenze di comunicazione (83%). A livello generazionale è la Gen Z la generazione a cui sta più a cuore la questione della privacy: solo il 46% riferisce di essere disposto a condividere la propria posizione e solo il 53% il proprio stato civile), contro rispettivamente il 66% e il 62% dei Baby Boomers.

Se da un lato cresce l’attenzione dei consumatori rispetto alla propria privacy, dall’altro la protezione dei dati non è più il fattore principale da cui dipende la fiducia nei confronti di un brand: nel 2024 era considerato l’aspetto più importante (citato dal 62% degli intervistati), mentre oggi scende al 54%, dopo la reattività del servizio clienti e la facilità nell’ottenere rimborsi, entrambi citati dal 55% dei consumatori. Sebbene la privacy dei dati sia ancora importante, i consumatori di oggi chiedono ai brand esperienze semplici e affidabili, costruite attraverso coerenza, reattività e semplificazione.

5. Le aziende non comprano più strumenti, ma costruiscono risultati

La nuova sfida per le piattaforme che mirano a migliorare l’esperienza degli utenti sarà quella di riuscire a garantire innovazione senza aggiungere complessità: stando alla ricerca, mentre il 96% delle aziende afferma di avere gli strumenti e le tecnologie giuste per comprendere i propri clienti, quasi la metà (44%) afferma di avere ancora difficoltà a connettere i dati dei clienti tra canali, fonti e piattaforme, mentre il 30% cita la tecnologia obsoleta o insufficiente per ottenere una comprensione più approfondita dei clienti.

Gli strumenti più diffusi nei tech stack attuali sono: CRM (63%), customer analytics (58%), customer surveys (53%), customer data platform (52%) e Communications Platform as a Service (CPaaS) (50%).

Sempre più aziende stanno ricorrendo a modelli holistic Customer Experience as a Service (CXaaS) — unificando CPaaS, CCaaS (Contact Center as a Service), CDP e AI in una soluzione unica e flessibile progettata per soddisfare le esigenze del moderno percorso del cliente. Questo cambiamento segnala una trasformazione più ampia: la Customer Experience si sta evolvendo da un insieme di strumenti disgiunti ad un’unica soluzione con l’obiettivo di ottenere dati migliori, generare intuizioni più intelligenti e favorire relazioni con i clienti più profonde e significative.

Per questo motivo, il 96% delle aziende dichiara di voler sviluppare internamente le proprie soluzioni di customer engagement, piuttosto che affidarsi a piattaforme universali. Questo permette ai marchi di creare soluzioni personalizzate che si allineano con i loro specifici obiettivi aziendali e con le esigenze dei clienti. Le aziende dunque non cercano più strumenti isolati, ma ecosistemi capaci di generare insight, ottimizzare l’esperienza e costruire fiducia su larga scala.

“È frequente semplificare la personalizzazione riducendola all’email sull’ultimo acquisto o a qualche raccomandazione coerente con lo storico o con i correlati dell’e-commerce. È, in realtà, un frammento di un mosaico ben più ampio. I clienti si aspettano oggi un’esperienza continua, coerente e pertinente lungo l’intero ciclo di vita e indipendentemente dal canale: online e offline, negozio e contact center, chat e WhatsApp, email e voce. E non soltanto nelle iniziative di marketing, ma anche nella vendita, nell’assistenza e nel post- vendita. Per arrivarci servono dati di qualità e una orchestrazione end-to-end capace di garantire tempestività, uniformità e rilevanza. In questo senso, al di là dei numeri che il report porta e che ribadiscono il gap tra ciò che i brand pensano di offrire e ciò che i clienti si aspettano, il messaggio di fondo è chiaro: i tool sono mezzi, non fini” – ha commentato Emanuele Caronia, CEO di Exelab. “Le aziende cercano outcome: più conversioni, tempi di gestione più brevi, NPS più alto, costi sotto controllo e compliance garantita. È esattamente la nostra impostazione. Sì, costruiamo soluzioni robuste e scalabili, con un team rapido e competente; ma ciò che ci distingue è l’allineamento agli obiettivi di business: partiamo dal bisogno, selezioniamo le leve tecnologiche essenziali (dati, AI, canali, contact center) e misuriamo l’impatto con indicatori chiari. ROI nel breve, valore sostenibile nel medio. Non tecnologia per la tecnologia, ma governance del dato e orchestrazione della CX per generare risultati tangibili.”

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