Unimpresa: raddoppia il disavanzo tra Italia e Cina dal 2019 (import +62% in 6 anni)

Immagine di KamranAydinov su Freepik

In sei anni il disavanzo commerciale tra Italia e Cina è più che raddoppiato, passando da –18,7 miliardi di euro nel 2019 a –43 miliardi nel 2025, con una crescita del 62% delle importazioni italiane dai mercati cinesi. Nel 2024 la Cina ha esportato in Italia beni per oltre 52 miliardi di euro, a fronte di 18 miliardi di export italiani verso Pechino. Nei primi sette mesi del 2025 le importazioni dalla Cina sono aumentate del 29,3%, mentre le esportazioni italiane sono diminuite del 10%, con un peggioramento del saldo di oltre 9 miliardi. Il surplus cinese verso l’Italia è concentrato in quattro comparti principali: chimico (8,1 miliardi)elettronico e ottico (7,5 miliardi)apparecchi elettrici (6 miliardi) e macchinari (6 miliardi). La dipendenza italiana dalle forniture cinesi è più elevata nei settori del mobilio (26,9%)tessile (24,1%) e apparecchi elettrici (21,7%).

Lo segnala un’elaborazione del Centro studi di Unimpresa, secondo cui l’aumento della sovracapacità produttiva cinese e la crescita delle esportazioni verso l’Europa corrono il rischio di accentuare la pressione sull’industria manifatturiera italiana e sulle piccole e medie imprese dei comparti tradizionali.

A livello globale, la Cina ha consolidato la propria leadership manifatturiera, con una quota del 16% nel commercio mondiale di beni industriali e un 10% nel settore automotive, in crescita di 6 punti percentuali negli ultimi cinque anni. La Cina è oggi competitiva in 60 settori in cui l’Italia deteneva un vantaggio comparato nel 2000, segno di una progressiva convergenza tecnologica con le economie avanzate europee.

«La Cina non è più la fabbrica a basso costo del mondo, ma un attore globale che compete nei settori tecnologici più avanzati. L’Europa deve attrezzarsi con una strategia industriale comune per non essere schiacciata tra Stati Uniti e Asia. Il dato più preoccupante è che la concorrenza cinese non si gioca più sul prezzo o sulla quantità, ma sulla tecnologia e sulla qualità. Pechino ha investito per vent’anni in innovazione, digitalizzazione, intelligenza artificiale e meccanica avanzata. Oggi è competitiva in settori che un tempo rappresentavano il cuore industriale dell’Europa: dai macchinari ai veicoli elettrici, fino ai semiconduttori. È una sfida di sistema che l’Italia non può affrontare da sola. Serve una politica industriale europea coordinata, capace di rafforzare la capacità produttiva interna, sostenere la ricerca e proteggere le filiere strategiche. Il governo deve sostenere il manifatturiero italiano non solo con incentivi fiscali o bonus temporanei, ma con investimenti stabili nella produttività e nell’internazionalizzazione. Occorre diversificare i mercati di esportazione, puntando su aree come il Mediterraneo, l’Africa e l’America Latina, dove l’Italia può giocare un ruolo di leadership industriale e culturale. È urgente preservare la catena del valore italiana, basata su qualità, design e competenze, e di rafforzare le sinergie europee per lo sviluppo delle nuove tecnologie verdi e digitali. La risposta alla sfida cinese non può essere l’isolamento, ma un’Europa più coesa e consapevole del proprio patrimonio industriale. Difendere le nostre imprese significa difendere l’occupazione, la crescita e l’identità economica del continente. È il momento di passare da una politica commerciale difensiva a una vera strategia industriale europea» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, che ha elaborato dati su dati BceIstat ed Eurostat, l’interscambio commerciale tra Italia e Cina negli ultimi anni ha registrato una crescita sostenuta, ma con un forte squilibrio a sfavore del nostro Paese. Nel 2024 il saldo commerciale si è attestato a –34,1 miliardi di euro, quasi il doppio rispetto ai –18,7 miliardi del 2019. La Cina esporta verso l’Italia beni per un valore triplo rispetto alle importazioni: nel 2024 le vendite cinesi hanno superato i 52 miliardi, mentre le esportazioni italiane si sono fermate a circa 18 miliardi. L’aumento del disavanzo è legato alla crescita delle importazioni italiane di beni ad alto contenuto tecnologico e di componenti industriali. Quattro settori spiegano la gran parte del surplus cinese: chimico (oltre 8 miliardi di euro)computer, elettronica e ottica (7,5 miliardi)apparecchi elettrici (6 miliardi) e macchinari (6 miliardi). Nel comparto dei macchinari, l’Italia esporta in Cina circa 3,5 miliardi di euro, ma il saldo resta negativo.

Il grado di dipendenza dell’Italia dalle forniture cinesi è particolarmente elevato in alcuni comparti chiave del manifatturiero: mobilio (26,9%)tessile (24,1%) e apparecchi elettrici (21,7%). Si tratta di settori ad alta esposizione alla concorrenza di prezzo e di scala, in cui la struttura industriale cinese beneficia di sussidi pubblicicosti di produzione inferiori e forte integrazione logistica.

Sul piano globale, la Cina ha consolidato la sua leadership manifatturiera, con quote di mercato superiori al 30% in comparti come apparecchi elettrici e fotovoltaico (+5 punti percentuali tra 2019 e 2024). Nel settore automotive e dei trasporti, la quota cinese ha raggiunto il 10% del commercio mondiale, in aumento di 6 punti percentuali, grazie all’espansione dei veicoli elettrici e al controllo della filiera delle batterie. In crescita anche la meccanica avanzata, sostenuta dal piano “Made in China 2025”, mentre arretrano i comparti tradizionali: tessile, abbigliamento e calzature, pur mantenendo oltre un terzo delle esportazioni mondiali, mostrano una competitività inferiore alla media nazionale.

Tra il 2000 e il 2022 la Cina è diventata competitiva in 60 settori in cui l’Italia deteneva un vantaggio comparato (contro i 40 del 2000). Nel confronto, la Germania risulta il Paese europeo più esposto, con 50 settori in cui il vantaggio tedesco è stato eroso dalla concorrenza cinese. L’analisi conferma quindi una convergenza tecnologica tra il modello industriale cinese e quello europeo, soprattutto nei comparti della meccanica, dell’elettronica e dei semiconduttori. I flussi commerciali del 2025 rafforzano il trend. Nei primi sette mesi dell’anno, le importazioni italiane dalla Cina sono aumentate del 29,3%, contro un +10,1% medio dell’Unione europea. Raggruppando i prodotti per categoria tecnologica, l’incremento dell’import italiano di beni non high-tech è pari al +15%, mentre nel comparto high-tech la crescita è ancora più accentuata per effetto dei prodotti farmaceutici di base. Escludendo quest’ultimo segmento, l’aumento complessivo dell’import si ridurrebbe a +11,8%, in linea con la media UE. Sul fronte opposto, l’export italiano verso la Cina nei primi sette mesi del 2025 è diminuito del 10%, analogo al calo registrato dagli altri Paesi europei. Ne è derivato un peggioramento del saldo commerciale di oltre 9 miliardi di euro per l’Italia e 38 miliardi per l’insieme dei Paesi UE, equivalenti a un deterioramento rispettivamente del 48,5% e del 27,6%.

Nel complesso, i dati evidenziano come la Cina stia consolidando la propria presenza nei settori tecnologici avanzati, mentre l’Italia e l’Europa faticano a mantenere il vantaggio competitivo nei comparti tradizionali dell’industria manifatturiera. L’eccesso di capacità produttiva cinese e il progressivo rallentamento della domanda interna di Pechino spingono infatti una quota crescente della produzione verso l’export, con effetti diretti sulle quote di mercato europee e sulla stabilità del tessuto produttivo nazionale.

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