Sud, boom di lavoro ma fuga di cervelli: 100mila giovani assunti, 175mila in fuga

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Il Mezzogiorno vive una stagione paradossale. Da un lato registra una crescita dell’occupazione senza precedenti, con quasi mezzo milione di posti di lavoro creati tra il 2021 e il 2024. Dall’altro continua a svuotarsi di giovani e competenze: nello stesso periodo 175mila under 35 hanno lasciato il Sud per cercare fortuna altrove.

È il ritratto che emerge dal Rapporto Svimez 2025, presentato ieri, che fotografa un’Italia a due velocità dove il PNRR ha innescato una dinamica positiva ma non sufficiente a trattenere i talenti.

Il traino del PNRR

Tra il 2021 e il 2024 il PIL del Mezzogiorno è cresciuto dell’8,5%, superando il Centro-Nord fermo al 5,8%. Le costruzioni hanno dato un contributo decisivo con un incremento del 32%, mentre i servizi sono aumentati del 7,8%. Anche l’industria manifatturiera ha mostrato segnali incoraggianti, crescendo del 13,6% grazie alla filiera edilizia e all’agroalimentare.

Secondo le previsioni, il Sud dovrebbe continuare a sovraperformare il Centro-Nord almeno fino al 2026, con una crescita dello 0,7% nel 2025 e dello 0,9% nel 2026, contro lo 0,5% e lo 0,6% delle regioni settentrionali.

La trappola del capitale umano

Ma dietro i numeri positivi si nasconde un dramma demografico e sociale. Metà di chi lascia il Sud è laureato, e le migrazioni dei laureati comportano per il Mezzogiorno una perdita di quasi 8 miliardi di euro all’anno. Dal 2000 a oggi, il conto è salatissimo: 132 miliardi di investimenti in formazione dispersi.

Nel triennio 2022-2024, 175mila giovani tra i 25 e i 34 anni hanno lasciato il Sud per il Nord o l’estero, mentre solo 100mila under 35 hanno trovato occupazione nel Mezzogiorno. Il risultato è che il Sud forma competenze che alimentano crescita e innovazione altrove.

Lavoro povero e salari in caduta

Chi resta spesso non trova condizioni dignitose. I salari reali dal 2021 al 2025 hanno perso il 10,2% di potere d’acquisto al Sud, contro l’8,2% del Centro-Nord. 1,2 milioni di lavoratori meridionali vivono sotto la soglia di povertà, la metà dei working poor italiani.

Il mercato del lavoro meridionale offre prevalentemente sbocchi nei settori tradizionali: oltre un terzo dei nuovi occupati giovani finisce nella ristorazione e nell’accoglienza, comparti a bassa specializzazione e remunerazione.

I Comuni in prima linea

Una nota positiva viene dall’attuazione del PNRR a livello locale. I Comuni hanno raddoppiato gli investimenti pubblici nel Mezzogiorno, passando da 4,2 a 8 miliardi tra il 2022 e il 2025. Tre cantieri su quattro sono già in fase esecutiva, e i tempi di progettazione sono scesi da 20 mesi a 7, allineandosi al Nord.

Gli effetti si vedono nei servizi: crescono i posti negli asili nido pubblici e aumentano le scuole con mensa. Se le opere saranno completate entro il 2026, si raggiungerà un sostanziale riequilibrio nell’offerta pubblica tra Nord e Sud.

Le sfide future

Il Rapporto Svimez lancia però un allarme: senza continuità dopo il 2026, i progressi rischiano di vanificarsi. Servono politiche strutturali su quattro fronti: potenziamento delle infrastrutture sociali, rafforzamento dei settori che richiedono lavoro qualificato, maggiore partecipazione femminile (al Sud solo il 30% delle madri con tre o più figli lavora), e investimenti nel sistema universitario.

L’autonomia differenziata rappresenta inoltre una contraddizione rispetto agli obiettivi del PNRR, rischiando di accentuare le fratture proprio mentre emergono i primi risultati positivi.

Il messaggio è chiaro: serve garantire il “diritto a restare”, rendendo la scelta di partire una libera decisione e non una necessità.

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