Luci e ombre del passaggio generazionale nelle PMI (1^ parte)

Il proprietario di una piccola banca svizzera, un uomo brillante, carismatico, abituato a decidere tutto, un giorno chiama i suoi due figli, giovani, be educati e motivati, e dice: “Un giorno tutto questo sarà vostro. Ma promettetemi una cosa: quando diventerò vecchio e comincerò a perdere colpi, dovrete avere il coraggio di dirmelo e io mi metterò da parte

I figli annuiscono e Iniziano a lavorare con lui: imparano, ascoltano, seguono le sue indicazioni del padre con rispetto.

Passano gli anni. A un certo punto, i due figli tornano dal padre e dicono:“Papà, siamo pronti. Lavoriamo con te da tempo, conosciamo l’azienda. Perché non ci lasci la guida?”

Il padre li guarda, riflette, poi risponde: “Troppo presto.”

Passano altri anni. Il mercato cambia, la banca è solida, il fondatore resta sempre più ancorato alla sua scrivania: arriva presto, esce la sera tardi, non delega, non chiede pareri. E soprattutto, non ascolta.

Una sera, dopo una riunione più pesante del solito, i due figli lo aspettano alla porta del suo ufficio. Questa volta non esitano. Sono determinati. Gli dicono: “Papà, è il momento. Dobbiamo prendere in mano l’azienda.”

Il padre alza lo sguardo, alla sua scrivania dietro una pila di carte, fa una lunga pausa, e dice: “Troppo tardi.”

E noi?

In Italia siamo bravi a fondare aziende, a farle crescere, a lottare per ogni euro di fatturato.
Ma quando arriva il momento di cedere il timone… siamo meno bravi.

I numeri:

Il tessuto imprenditoriale italiano è fortemente dominato da imprese familiari, PMI a conduzione familiare: tra l’85 % e il 90 % delle imprese in Italia sono “family business”.

Una grande fetta degli imprenditori è “anziana”: secondo alcune rilevazioni, oltre il 56 % degli imprenditori ha più di 50 anni. Il 46% è fra i 50 e i 70 anni e il 10% ha più di 70 anni

Le donne sono in media più giovani, ma sono meno (il 26%).

I dati ci mostrano che molte imprese si avvicinano a un inevitabile passaggio generazionale nei prossimi anni.

In altri termini: il “ricambio generazionale” non è rinviabile.

Ma non è facile.

Solo circa il 30% delle imprese familiari sopravvive al passaggio dalla prima alla seconda generazione. La situazione peggiora ulteriormente man mano che si procede nelle generazioni: solo il 13% delle imprese riesce a raggiungere la terza generazione.

Un dato ancora più drammatico: in alcune analisi recenti si parla di appena il 4% delle aziende familiari che arriverebbe alla quarta generazione.

Il risultato: un’elevatissima mortalità nella “linea di successione” delle imprese familiari italiane — molte chiudono o vengono vendute o assorbite per mancanza di un ricambio adeguato.

Perché?

Da un lato c’è una fragilità strutturale delle nostre imprese.

Dall’altro complessità crescente del mercato, del mondo.

Gli ostacoli con cui ci confrontiamo:

Spesso il passaggio non viene pianificato in anticipo: la transizione viene vista come un “evento” piuttosto che come un percorso strategico. Questo causa incapacità di trasferire know-how, governance, ruoli decisionali in modo strutturato.

Nel passaggio generazionale le famiglie tendono a privilegiare legami affettivi, “mio figlio prenderà le redini”, piuttosto che valutare lucidamente competenze, capacità manageriali, merito. Questo genera conflitti o incapacità di reggere la complessità del business moderno.

Le sfide attuali, trasformazione digitale, globalizzazione, complessità normativa richiedono leadership con visione, multidisciplinarietà e apertura all’innovazione: non basta “essere eredi”, serve formazione, competenze e manager esterni.

Poi, in alcuni casi, la generazione successiva non è motivata ad accettare l’eredità. Perché scoraggiata dalle difficoltà, dall’incertezza normativa, economica, dallo stress. Oppure ha altri interessi. O semplicemente valuta l’impresa come “peso” da evitare.

Per queste ragioni molte imprese muoiono con il fondatore o vengono vendute.

La mente del titolare, l’imprenditore senior,

nel valutare a chi e come passare il testimone può scivolare su 8 Bucce di Banana:

  1. Tanto i figli sanno già lavorare qui

Lavorare da tempo in azienda non significa avere le competenze e le capacità manageriali necessarie.

  1. Finché sto bene”

Pensi di essere immortale? Probabilmente, non lo sei. Di sicuro l’azienda non lo è.

Il ritardo nell’impostare con intenzione e pianificazione il passaggio della leadership è la buccia di banana più scivolosa.

  1. Scambiare la successione per un atto affettivo

“Scelgo, anche senza dichiararlo, il famigliare che più mi somiglia. O che amo di più.”

Errore. La leadership non è un attestato di affetto: è peso, responsabilità, solitudine.

  1. Far entrare i figli in azienda senza metterli davvero alla prova

Lavorano, ma senza obiettivi di performance e criteri di valutazione.

Si dà un ruolo, ma senza budget.

Risultato: un limbo in cui non crescono e l’impresa non progredisce.

  1. Scarsa chiarezza in chi decide e conflitti di ruolo

Padre a capo, madre e figlia in amministrazione, figlio nel commerciale…Ma chi decide veramente? Se non è chiaro chi decide cosa, arriva il caos.

La familiarità non sostituisce la gestione efficace.

  1. Ne parleremo tra noi”

La successione non si governa in modo informale.

Senza un documento, anche semplice, e senza formalizzare regole minime, le incomprensioni sul lavoro diventano tensioni familiari.

  1. Non preparare il team interno

Il passaggio non coinvolge solo la famiglia.

I dipendenti devono capire chi decide cosa, in quali tempi, con quali criteri.

Se il team non è allineato, il successore parte già zoppo.

  1. Credere che la successione sia un “evento” 

Il passaggio generazionale non è un interruttore ON/OFF, che si accende in un attimo.

È una fase di co-leadership, un periodo di doppia guida.

Le PMI che sopravvivono sono quelle che accettano e gestiscono la complessità di questa fase.

E poi c’è il carattere delle persone.

Il grande psichiatra Carl Gustav Jung raccontava la storia del banchiere svizzero per spiegare un meccanismo psichico profondissimo che riguarda certamente il passaggio generazionale, ma anche ogni processo di transizione, crescita e successione.

La difficoltà a lasciare andare il potere quando quel potere coincide con la propria identità.

Il potere ha la forza degli archetipi. Nella mitologia e nella storia Il ruolo del Re, del Padre, del Capo è un archetipo antico, radicato. Il Re non abdica mai volentieri. E il figlio non reclama il suo posto, finché non è costretto.

Questa dinamica antica si ripete identica nelle aziende familiari di oggi.

  • Il padre non riesce a vedere il proprio declino.

Per Jung, l’essere umano tende a negare ciò che minaccia l’immagine che ha di sé.
Un imprenditore – come il banchiere della storia – si identifica totalmente con il suo ruolo. Lasciare il comando è come affrontare la propria morte simbolica.

  • I figli non riescono a prendersi il loro spazio “finché non è troppo tardi”

Nella psiche umana non esiste un momento giusto per il cambiamento.
Esiste solo il momento in cui è troppo presto, perché fa paura, e il momento in cui è troppo tardi, perché non si è avuto il coraggio prima.

Jung usa questa storia per dire che il cambiamento va deciso, voluto, pianificato e preparato. Non aspettato.

Se non prepari il futuro, il futuro decide per te.

La frase su cui riflettere

“Guarda il tuo lato ombra (quello con cui non hai voglia di fare i conti). Altrimenti il lato ombra prenderà il sopravvento e tu lo chiamerai: destino”,  Carl Gustav Jung.

(continua)

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.