Il caffè, in tutto il mondo, non è solo una bevanda, ma un rito quotidiano e un simbolo culturale. Eppure, dietro ogni tazzina si nasconde oggi una filiera globale complessa e vulnerabile, che richiede alle nostre aziende, specialmente le PMI, un salto strategico, dall’eccellenza nella torrefazione e nella miscela a un approccio proattivo all’internazionalizzazione. La realtà è che oltre l’80% del caffè italiano è importato, rendendoci dipendenti da una rete transcontinentale esposta a shock climatici, volatilità dei prezzi e tensioni geopolitiche. I cambiamenti climatici, in particolare, sono una minaccia esistenziale, entro il 2050, le aree coltivabili potrebbero ridursi del 50%, mettendo a rischio specie pregiate come l’Arabica, cuore dell’espresso.
In questo scenario, paesi non tradizionali ci insegnano come innovare. La Tunisia, ad esempio, sta emergendo con modelli brillanti, aziende come Ben Rahim costruiscono reti transnazionali, unendo conoscenza profonda delle origini, tracciabilità e design, diventando player globali dello specialty coffee. La lezione per le nostre imprese è chiara, arroccarsi sulla tradizione non basta più. La resilienza si costruisce guardando avanti, con relazioni dirette con i produttori, per controllare qualità e sostenibilità; investimento in tracciabilità (blockchain) e trasparenza, come già fanno grandi player; diversificazione delle fonti e studio di varietà resilienti ed espansione internazionale del modello “Made in Italy”, che può valere fino alla piantagione.
Il mercato del caffè evolve verso premiumizzazione, sostenibilità ed esperienza. Le aziende italiane hanno tutto il patrimonio e le competenze per guidare questa transizione, trasformando le sfide globali in un’opportunità per ridefinire, senza tradirla, la propria leadership. Il futuro del caffè italiano si scrive ora, connettendo la passione per l’espresso al coraggio della filiera globale.
E proprio partendo da questi modelli innovativi, come quello tunisino citato nell’articolo, che ho voluto approfondire la storia di due imprenditori italiani che non hanno solo osservato il fenomeno, ma vi si sono immersi. Ho intervistato Roberto Mastromauro e Francesco Zimmardi, fondatori di Brix Cafe, che dal Piemonte hanno scelto Tunisi come base per creare un’azienda che importa le migliori eccellenze mondiali del caffè. Una scelta coraggiosa che incarna perfettamente la transizione da un’idea locale a una visione globale della filiera. Scopriremo perché proprio la Tunisia, come stanno ridefinendo il concetto di “origine” e in che modo la loro esperienza può ispirare altre PMI italiane a guardare oltre confine.
LUCA MARRUCCHI: La vostra azienda ha sede in Tunisia e importa le migliori qualità da paesi storici per la produzione di caffè. Qual è il vostro modello per individuare e selezionare i produttori d’eccellenza? Come costruite e gestite relazioni di fiducia a migliaia di chilometri di distanza?
ROBERTO MASTROMAURO: Il nostro modello di selezione si basa su un principio fondamentale: la qualità nasce dalle persone e dai territori. Per questo collaboriamo con produttori d’eccellenza dei paesi storici del caffè, scelti in base alla tracciabilità delle filiere, alla cura agronomica e alla costanza qualitativa nel tempo. La selezione avviene attraverso campionature regolari, cupping comparativi e un dialogo continuo con i produttori e i partner locali. Anche a migliaia di chilometri di distanza, costruiamo relazioni di fiducia fondate su trasparenza, rispetto reciproco e collaborazione di lungo periodo. Il nostro obiettivo non è solo importare caffè verde di alta qualità, ma valorizzare il lavoro all’origine e portare in tazza un prodotto autentico, coerente con i nostri valori e con le aspettative dei consumatori.
LUCA MARRUCCHI: In un mercato saturo di importatori, come vi differenziate? È una questione di pura qualità della materia prima o avete sviluppato un know-how particolare nella logistica, nella tracciabilità o nei rapporti con le comunità dei produttori?
FRANCESCO ZIMMARDI: In un mercato saturo, la differenza non la fa un singolo elemento, ma la coerenza dell’intero processo. La qualità della materia prima è il punto di partenza, ma non è sufficiente da sola. Ci distinguiamo per un know-how che integra selezione all’origine, gestione logistica e controllo rigoroso della tracciabilità.Seguiamo ogni lotto dalla piantagione alla torrefazione, ottimizzando tempi, condizioni di trasporto e conservazione per preservare le caratteristiche del caffè verde. Allo stesso tempo, investiamo in relazioni dirette e durature con le comunità dei produttori, basate su continuità, trasparenza e valorizzazione del loro lavoro. È questa visione integrata — che unisce competenza tecnica, responsabilità e rispetto della filiera — a permetterci di distinguerci e di offrire un caffè riconoscibile e affidabile nel tempo.
LUCA MARRUCCHI: Osservate l’Italia da un punto di vista privilegiato, come partner commerciale e come riferimento culturale nel caffè. Secondo voi, le aziende italiane del settore stanno sfruttando appieno le opportunità dell’internazionalizzazione a monte (nell’approvvigionamento) e a valle (nella commercializzazione all’estero)? Dove vedete le maggiori reticenze o i potenziali inespressi?
ROBERTO MASTROMAURO: L’Italia resta un riferimento culturale imprescindibile nel mondo del caffè, ma non tutte le aziende stanno sfruttando appieno le opportunità dell’internazionalizzazione. A monte, esistono ancora margini di crescita nella costruzione di relazioni più dirette e strutturate con i paesi di origine, che consentirebbero maggiore controllo qualitativo, tracciabilità e capacità di differenziazione. A valle, il potenziale è enorme, soprattutto nei mercati ad alto valore, ma spesso non viene espresso fino in fondo per un approccio ancora troppo legato al modello domestico. Le principali reticenze riguardano l’adattamento ai gusti locali, la comunicazione del valore del prodotto e una visione strategica di lungo periodo. Chi riuscirà a coniugare identità italiana, apertura culturale e capacità di leggere i mercati internazionali avrà un vantaggio competitivo significativo nei prossimi anni.
LUCA MARRUCCHI: La richiesta di trasparenza e sostenibilità etica e ambientale è sempre più forte. Come integrate questi valori nella vostra catena di fornitura? È un fattore richiesto anche dai clienti del Mediterraneo e dell’Europa, Italia inclusa?
FRANCESCO ZIMMARDI: Siamo pienamente d’accordo. Oggi la sostenibilità è parte integrante della solidità di un’azienda, non solo dal punto di vista etico, ma anche industriale e commerciale. Una filiera sostenibile è più trasparente, più resiliente e più affidabile nel tempo. Per il settore del caffè significa tutelare le origini, garantire continuità qualitativa e costruire relazioni durature con i produttori. È questo equilibrio tra responsabilità e visione di lungo periodo che rende un’azienda davvero competitiva e credibile sui mercati internazionali.
LUCA MARRUCCHI: Cosa impedisce, secondo la vostra analisi, a molte PMI italiane – che pure possiedono un patrimonio inestimabile di know-how – di fare lo stesso e di espandere la loro influenza lungo l’intera filiera internazionale? Qual è il primo passo che consigliereste loro di compiere?
ROBERTO MASTROMAURO: Molte PMI italiane hanno un know-how straordinario, ma faticano a tradurlo in una strategia internazionale per prudenza, risorse limitate e forte orientamento al mercato domestico. Il primo passo è cambiare prospettiva: affrontare l’internazionalizzazione come un percorso graduale, investendo in conoscenza della filiera e partnership affidabili. È così che il valore del saper fare italiano può estendersi lungo l’intera filiera internazionale.

