Accertamento fiscale integrativo: necessari nuovi elementi per una seconda verifica

La legge attribuisce all’Amministrazione finanziaria la possibilità di integrare o modificare, in aumento, precedenti atti di accertamento (ai fini delle imposte dirette e dell’Iva). L’articolo 43 del Dpr n.600/73 non lascia spazio a dubbi o zone d’ombra nel sottolineare che “l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Agenzia delle Entrate”.

Fino alla scadenza dei termini di decadenza e in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi per il medesimo anno d’imposta, è possibile per il Fisco integrare l’accertamento nei confronti del contribuente. Nella motivazione, però, devono essere specificamente indicati – a pena di nullità – sia i nuovi elementi posti a fondamento dell’accertamento integrativo sia gli atti e i fatti dai quali essi sono stati desunti.

Nel caso preso in esame, i giudici di Forlì hanno rilevato che l’elemento su cui si fondava la seconda verifica, posta in essere nei confronti dei contribuenti (SNC e soci), in realtà non fosse un elemento di nuova conoscenza, come richiesto dall’art 43, bensì un elemento che era già nella piena disponibilità dell’Amministrazione. Nello specifico si trattava di movimenti riguardanti gli estratti conto bancari tra società e soci che erano già noti nel momento della prima verifica.

Per questi motivi, nonostante l’Agenzia avesse sostenuto che la conoscenza degli elementi fosse stata postuma rispetto alla prima verifica di accertamento – in quanto derivante da allegati alla memoria difensiva – la Commissione, con sentenza n.108/1/2021 depositata il 19 aprile 2021, ha stabilito la necessità di considerare i suddetti elementi già nella disponibilità dell’Amministrazione, ragion per cui, rilevabili in sede di prima verifica. La Commissione ha chiarito come “erano noti all’Amministrazione i conti correnti in questione e la novità dell’indagine – come richiesta dal legislatore – non può dirsi tale ove vada, in realtà, a supplire alla carenza investigativa”.

In applicazione, quindi, del predetto articolo 43 gli accertamenti integrativi non potevano non essere annullati.  A sostegno della decisione è stata richiamata la sentenza della Corte di Cassazione n. 26191/2018 secondo cui “L’integrazione dell’accertamento mediante remissione di ulteriori atti impositivi, ai sensi dell’art. 43, comma 3, dei d.P.R. n. 600 dei 1973, è ammessa solo ove gli elementi posti a fondamento degli stessi siano nuovi, ipotesi che non ricorre in presenza di diversa, o più approfondita, valutazione del “materiate probatorio” già acquisito dall’ufficio, dovendosi ritenere che con l’emissione dell’avviso di rettifica l’amministrazione consumi il proprio potere di accertamento in relazione agli elementi posti a propria disposizione (si vedano anche Cass. sent. nn. 2756S/18; 26279/16 e 8029/13)”.

I giudici della Cassazione, dunque, hanno voluto in qualche modo evidenziare come sia essenziale un rapporto corretto e trasparente tra Fisco e contribuenti.

Sempre in merito alla necessità di rapporti trasparenti tra Fisco e contribuenti, si rilevano una serie di iniziative portate avanti dal “Centro Studi Sances” proprio al fine di migliorare il dialogo con le Amministrazioni e dunque anche la qualità degli accertamenti fiscali. Sul punto si segnala una recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce che ha annullato un accertamento fiscale da oltre 600.000 euro a carico di una contribuente per violazioni fiscali/societarie mai compiute (si veda sentenza della CTP Lecce n.767/2/20 su www.studiolegalesances.it – sez. Documenti).

Dott. Alberto Colucci

Avv. Matteo Sances

www.centrostudisances.it

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