Benessere organizzativo e formazione: una moda o un bisogno reale?

Le proposte formative seguono questo flusso e sono molte, accanto a proposte realmente innovative si ripresentano, sotto l’egida del “contenitore” benessere, temi importanti ma non così chiaramente correlati al tema: la qualità della comunicazione, la leadership, il disegno organizzativo etc.
È evidente che l’interesse per il benessere sia alto e la questione che si vuole affrontare seria ma le proposte rischiano spesso di essere semplicemente accattivanti proponendo un tema alla moda e poco di più.
Qualche indicazione per la formazione e per la consulenza
Affinché nelle organizzazioni si possa promuovere benessere, e affinché la formazione e la consulenza possano essere modi reali di supportare la promozione di benessere, occorre innanzitutto dare un ruolo meno centrale ai vecchi strumenti concettuali con cui si è guardato il mondo del lavoro e adottarne di altri, più rispettosi del concetto di benesseri opposto a quello di “modello di benessere”. In sostanza ciò, sul piano delle premesse alla formazione e consulenza, significa:
- ·Non pensare di veicolare un unico modello di benessere, il “monoteismo”. Ogni individuo, ogni organizzazione deve sentirsi legittimata a “creare” il proprio stile di benessere;
- ·Il focus non è promuovere la riproducibilità di alcune categorie date come assolute ma sulla necessità di presentare gli elementi positivi e negativi di scelte e modelli.
- ·Il benessere contempla inevitabilmente anche il malessere. L’eterna felicità è un mito infantile; nel mondo degli adulti la “conquista” della felicità passa attraverso l’assolvimento di prove anche dure da superare.
Più in specifico, questi approcci generali diventano linee guida così definibili:
- ·Abbandonare l’idea delle risposte “preconfezionate”, ovvero l’assunzione taylorista che esista una “one best way” da applicare indipendentemente dal contesto specifico.
- ·Rinunciare alla presunzione della “valutazione oggettiva degli esperti”, ovvero all’idea che sia possibile inserirsi in un contesto, tra l’altro per un tempo limitato, e fornire dei giudizi definitivi su una situazione organizzativa frutto di storie e culture sedimentate nei luoghi, nei ruoli, nelle persone e nelle dinamiche attraverso lunghi periodi di “gestazione” e adattamento.
- ·Non sforzarsi di allontanare definitivamente il “malessere organizzativo”.
- ·Privilegiare l’approccio sull’individuo (seppure inserito nel suo contesto organizzativo).
- ·Pensare all’intervento come ad un processo, ovvero evitare interventi “spot” (tipici della logica del fitness) ma proporre al proprio committente un percorso attraverso il quale ipotizzare gradualmente miglioramenti.
- ·Non scartare le idee “tradizionali” perché oggi non “alla moda”, ovvero dare voce al fatto che componente del benessere possano essere il salario, i diritti.
Mario Catani
Senior partner presso Plan soc. coop. Bologna
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