Cassazione: nessun risarcimento per demansionamento se non si prova il danno
In materia di demansionamento del lavoratore, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7818 del 3 aprile 2014 ha statuito che al dipendente dequalificato non spetta alcun risarcimento del danno se lo stesso non fornisce prova del pregiudizio, a nulla rilevando il fatto che un valore fondamentale quale la dignità del lavoro è tutelato dalla stessa Costituzione.
Brevi cenni sul demansionamento: definizione ed effetti
Definizione di demansionamento
Il demansionamento è costituito dall’adibizione del lavoratore a mansioni inferiori rispetto a quelle concordate in sede di assunzione.
In linea generale il demansionamento è vietato, salvo che sussistano determinate condizioni. La giurisprudenza, infatti, in presenza di particolari condizioni, ha ammesso in alcuni casi delle deroghe all’enunciato divieto, consentendo la possibilità di modificare in peggio le mansioni del lavoratore.
Il divieto di demansionamento opera anche nel caso di assegnazione a mansioni ricomprese nel livello o nella categoria contrattuale di appartenenza, ma inferiori nella sostanza, in quanto non aderenti alla specifica competenza del dipendente oppure recanti pregiudizio al graduale avanzamento gerarchico dello stesso.
Effetti del demansionamento
L’illegittimo demansionamento può giustificare:
- il rifiuto del lavoratore a svolgere la prestazione lavorativa (art. 1460 c.c.), purché la reazione del medesimo risulti proporzionata e conforme a buona fede;
- il recesso del lavoratore dal contratto “per giusta causa”, qualora ne ricorrano i presupposti.
Il lavoratore può chiedere in giudizio la condanna del datore di lavoro:
- a) al ripristino della situazione originaria mediante ordine di reintegrare il lavoratore nella precedente posizione o in un’altra di contenuto equivalente, sempre nel rispetto dello “ius variandi”;
- b) al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale. In tale caso, la Cassazione già in passato (cfr. tra tutte Cass. 17 settembre 2010 n. 19785 e Cass. 28 aprile 2010 n. 10166) aveva stabilito che per il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale occorresse una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio derivato dal demansionamento, nonché la dimostrazione del nesso causale tra il danno e il demansionamento. Generalmente il danno viene liquidato in base ad un criterio equitativo, eventualmente con riferimento all’entità della retribuzione risultante dalle buste paga prodotte in giudizio.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 7818 del 3 aprile 2014
Con la sentenza n. 7818 del 3 aprile 2014 la Suprema Corte, in tema di demansionamento, ha chiarito che va esclusa, nell’ambito del danno non patrimoniale, la sussistenza “in re ipsa” del pregiudizio nei confronti del lavoratore per il mero inadempimento del datore di lavoro. Occorre, pertanto, che la sussistenza ed entità del pregiudizio siano provati nel processo con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, anche per presunzioni semplici.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva condannato il Ministero della Difesa a pagare ad una sua dipendente una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno per l’illegittima dequalificazione subita dalla lavoratrice.
La Suprema Corte ha precisato che le affermazioni della Corte d’Appello non possono essere accolte «in quanto contrastanti con i principi affermati dalla Corte di legittimità che lo stesso giudice di merito ha richiamato ritenendo, però, di non doverne fare applicazione nel caso in esame».
In particolare, i giudici di legittimità hanno evidenziato che «pur dovendosi rilevare che per quanto attiene alla prova del danno, le SS.UU del 2008 (N. 26972), richiamate dalla stessa Corte territoriale, hanno ammesso che essa possa fornirsi anche per presunzioni semplici, deve, tuttavia, escludersi che il danno sia “in re ipsa” (nello stesso senso Cass. SU n. 6572 del 24 marzo 2006), dovendo essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi, che solo dall’interessato possono essere dedotti, si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell’art. 115 c.p.c. a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prova…(omissis)».
Clara Frattini
Avvocato
avv.clarafrattini@gmail.com

Avvocato, socio AGI (Avvocati Giuslavoristi Italiani). Si occupa di diritto del lavoro, diritto civile e diritto sociosanitario. Docente in Master di alta formazione manageriale. Partecipa come relatrice a convegni e seminari. Responsabile Sezione Lavoro de Il Giornale delle PMI.
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