Certificazione verde Covid-19: profili di criticità

 Certificazione verde Covid-19: profili di criticità

A decorrere dal 23 marzo 2021, l’art. 9 del D.L. 22 aprile 2021, n. 52 ha istituito la ‘Certificazione verde Covid-19’, mediante la quale è attestata:

  1. l’avvenuta vaccinazione contro il virus al termine del prescritto ciclo del trattamento sanitario nell’ambito del Piano strategico nazionale. Tale certificazione ha validità di 6 mesi e, previa richiesta dell’interessato, è rilasciata al termine del ciclo vaccinale in formato cartaceo o digitale dalla struttura sanitaria o dall’operatore sanitario che abbia somministrato il vaccino. La certificazione è inserita nel fascicolo sanitario elettronico dell’interessato mediante il sistema informativo regionale. Coloro che abbiano già completato il ciclo di vaccinazione al 23 aprile 2021 possono richiedere il rilascio della certificazione alla struttura che ha erogato il trattamento sanitario ovvero alla Regione o alla Provincia autonoma in cui ha sede la struttura stessa;
  2. l’avvenuta guarigione dal virus, con contestuale cessazione dell’isolamento prescritto in seguito all’infezione. Tale certificazione, rilasciata in forma cartacea o digitale su espressa richiesta dell’interessato dalla struttura sanitaria che ha effettuato il ricovero del soggetto contagiato ovvero dal medico di medicina generale (o dal pediatra di libera scelta) nell’ipotesi in cui il soggetto non sia stato ricoverato, ha validità di 6 mesi, decorrenti dall’avvenuta guarigione. La certificazione è resa disponibile nel fascicolo sanitario elettronico dell’interessato. La validità di detta certificazione viene meno quando nel periodo di vigenza semestrale l’interessato risulti positivo al virus. Ove rilasciate in data antecedente al 23 aprile 2021, le certificazioni di guarigione hanno validità per sei mesi decorrenti dalla data indicata nella certificazione stessa, sempre che non sia nuovamente accertata la positività del soggetto;
  3. l’effettuazione di un test molecolare o antigenico rapido con esito negativo al virus. In tal caso, la certificazione ha validità per 48 ore dall’esecuzione del test. È rilasciata su istanza dell’interessato – in formato cartaceo o digitale – dalla struttura sanitaria, dal medico di medicina generale, dal pediatra di libera scelta o dalla farmacia che abbia effettuato il test molecolare o antigenico rapido.

Tale certificazione, rilasciata in formato cartaceo o elettronico tramite l’apposita piattaforma nazionale-DGC, è stabilito possa consentire al soggetto titolare di:

  • effettuare spostamenti in entrata e in uscita dai territori classificati come ‘zona rossa’ o ‘zona arancione’, fermo restando che detti spostamenti sono consentiti ove effettuati per esigenze lavorative, per situazioni di necessità o per motivi di salute o per il rientro alla propria residenza, domicilio od abitazione (art. 2, c. 1);
  • derogare a divieti di spostamento da e per l’estero o all’obbligo di sottoporsi a misure sanitarie in dipendenza dei medesimi spostamenti (art. 2, c. 3);
  • partecipare a particolari eventi, riservati a chi sia in possesso di detta certificazione (art. 5, c. 4);
  • partecipare a fiere, convegni e congressi riservati a soli soggetti in possesso della certificazione stessa (art. 7, c. 2).

Come accennato in premessa, con riferimento a quanto disposto dal citato art. 9 del D.L. 22 aprile 2021, n. 52 e contestualmente all’entrata in vigore del decreto stesso, il Garante per la protezione dei dati personali ha diramato un provvedimento mediante la quale ha rilevato gravi criticità ‘tali da inficiare, se non opportunamente modificata, la validità e il funzionamento del sistema previsto per la riapertura degli spostamenti durante la pandemia’.

Il Garante ha auspicato un intervento urgente a tutela dei diritti e delle libertà delle persone, un ‘avvertimento formale’ circa il quale è stato dato tempestiva comunicazione ai Dicasteri coinvolti.

In particolare, il Garante ha precisato come la disciplina introdotta dal richiamato D.L. 22 aprile 2021, n. 52 non costituisca una base normativa idonea per l’introduzione della certificazione verde, risultando peraltro gravemente incompleta e basata su una non accurata valutazione dei rischi per i diritti e le libertà personali dal momento che:

  • non sono individuate con precisione le finalità per il trattamento dei dati sulla salute;
  • in palese violazione del principio di trasparenza, non è specificato chi sia il titolare del trattamento dei dati personali, (impedendo di fatto l’esercizio dei diritti degli interessati), così come non sono stabiliti tempi di conservazione dei dati né misure adeguate a garantire la loro integrità e riservatezza;
  • è violato il principio di minimizzazione del dato e si registra il rischio concreto che siano dedotti nella certificazione dati inesatti o non aggiornati, esponendo l’interessato al grave rischio di subire immotivate limitazioni alla libertà di spostamento.

Più recentemente, il Garante ha altresì comunicato di avere avviato un’istruttoria per verificare la congruità del progetto locale di certificazione della Provincia autonoma di Bolzano (‘CoronaPass Alto Adige’).

Fermo restando che, come espressamente previsto dalla normativa comunitaria e italiana, l’introduzione della certificazione verde avrebbe potuto essere opportunamente disciplinata se fosse stata promossa e realizzata la necessaria interlocuzione con il Garante stesso, l’evoluzione normativa produrrà certamente effetti di rilievo anche con riguardo alle strategie delle imprese, dal momento che la certificazione verde inciderà in modo significativo sul piano organizzativo sia in relazione al Protocollo condiviso 6 aprile 2021 di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2/Covid-19 che con riferimento all’opportunità di realizzare un piano aziendale di vaccinazione diretta in osservanza del Protocollo nazionale 6 aprile 2021.

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