CNA: l’impatto della crisi sull’industria manifatturiera italiana è il peggiore nella Ue

 CNA: l’impatto della crisi sull’industria manifatturiera italiana è il peggiore nella Ue

La chiusura per decreto di ampi settori della manifattura ha generato un crollo senza precedenti dell’economia. Non sono possibili raffronti con altre crisi, tanto meno con la profonda recessione del 2008. Basti pensare che a marzo scorso la produzione industriale italiana ha accusato un crollo di oltre il 30% mentre nella crisi del 2008 la flessione dell’indice del 26,8% è avvenuta in 15 mesi. L’elaborazione dei dati sulla produzione industriale realizzata dal Centro Studi della CNA evidenzia che fatto 100 l’indice nel 2010 a marzo è precipitato a 73,1, un valore mai toccato dal 1990 e che si attesta a poco più della metà del valore raggiunto nel 2007 (134,2).

Rispetto ai precedenti cicli negativi, anche l’origine della crisi attuale è profondamente diversa. La genesi della recessione di 12 anni orsono è il tracollo della finanza globale innescato dai mutui subprime che sfocia nel crollo della domanda. La crisi provocata dal Covid-19 invece ha innescato uno shock da offerta con la sospensione forzata delle attività produttive.

Tutti i comparti sono stati travolti dallo tsunami, anche quelli di utilità essenziale che non hanno subito lo stop per decreto come l’alimentare e il farmaceutico. Tuttavia la caduta verticale della produzione industriale è il risultato di andamenti molto differenziati. Il Centro Studi della CNA ha calcolato che la produzione di carta ha limitato la flessione al 3,9%, la chimica al 5,4%. La filiera alimentare ha accusato una contrazione dell’8,4% relativamente alla produzione di cibi e del 10,2% per le bevande.

I dati più drammatici riguardano il segmento dei mezzi di trasporto con un tonfo del 64,4% per gli autoveicoli e della moda che ha perso la collezione primavera-estate. L’abbigliamento mostra una contrazione del 51,2%, la pelletteria del 50,3%, il tessile del 42,1%. Rispetto alla caduta dell’indice del 30,6% hanno arginato la catastrofe i prodotti petroliferi raffinati con un -11%. Poco meglio del valore medio anche l’editoria con un calo del 22,4% e gli strumenti elettronici di precisione con una contrazione del 26,2%.

I numeri di aprile si annunciano ben peggiori rispetto a marzo a causa delle misure di contenimento per contrastare il contagio. Le prime evidenze mostrano una contrazione di quasi il 50% dell’indice della produzione industriale.

Il raffronto con le principali economie dell’area euro è fortemente condizionato dal diverso timing del lockdown che in Italia è scattato molto prima rispetto a Francia, Germania e Spagna. Tuttavia emerge un trend analogo per le filiere più integrate e interconnesse come l’automotive e l’elettronica nonché le apparecchiature elettriche. A titolo di esempio la produzione di veicoli è scesa del 50% in Francia, -44,7% in Spagna e -31% in Germania. Più ampio il differenziale nei segmenti della meccanica (Italia -39,7% e Germania -10,4%), abbigliamento (-51,2% Italia, -23% Spagna, -21% Francia e -11,5% Germania) e prodotti in Legno (dal -33,8% dell’Italia al -14,5% della Spagna fino al marginale -0,9% della Germania).

La capacità di assorbimento dello shock rappresenta ora la difficile e impegnativa sfida e il risultato dipenderà da intensità e velocità del recupero. In quest’ottica il raffronto con gli altri partner è piuttosto impietoso per il nostro Paese in termini di capacità di reazione. Ma non è stato sempre così osservando le recessioni dagli anni ’90 ad oggi. La crisi provocata dal debito sovrano ha rappresentato la maggiore divaricazione tra il ciclo economico dell’Italia e quello dei principali partner. Nel periodo tra aprile 2008 e novembre 2013 la produzione industriale dell’Italia subisce un calo del 24%, la Francia del 14% la Germania del 2,3%.

Al contrario la recessione del 1992 evidenzia una sincronia degli andamenti della produzione industriale e del Pil tra Italia, Germania, Spagna, Francia e Regno Unito. Addirittura l’indice della produzione italiana nel biennio 1995-1996 mostra un andamento superiore a quello della Germania. Già con la crisi del 1997-1998 partita dalle ex tigri asiatiche il confronto tra Italia e i principali Paesi dell’euro mostra un progressivo ampliamento del differenziale della produzione in senso sfavorevole al nostro Paese.

Nella fase prolungata di stagnazione 2001-2005 la sincronia si è manifestata nella flessione generalizzata dell’output industriale mentre la divaricazione è emersa nella fase di recupero del ciclo.

L’allargamento del differenziale riflette l’incapacità di modernizzare e rafforzare la competitività del sistema Italia. Complessità normativa e fiscale, burocrazia, tempi della giustizia, architettura istituzionale impongono interventi radicali. L’economia italiana pre-Covid ancora non ha recuperato i livelli del 2007. Senza un cambio di passo è a rischio la tenuta economica e sociale del Paese.

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