Come incrementare la presenza delle donne alla guida delle imprese?

Le donne sono una presenza sempre più numerosa nelle figure apicali all’interno delle aziende, ma il loro numero è ancora nettamente inferiore rispetto agli uomini.

I dati ci dicono che su questo l’Italia è in linea con il resto dell’Occidente: soltanto un’attività imprenditoriale su cinque è guidata da una donna. Non solo, ma nel nostro Paese la presenza femminile nelle giovani società innovative è addirittura più ridotta che nelle aziende. E come se non bastasse, la crisi economica innescata dal Covid sta colpendo maggiormente proprio le donne: l’Istat ha certificato che il 70% dei 444 mila posti scomparsi nel 2020 sono femminili, perché si concentrano soprattutto su ricettività, commercio ristorazione e tempo libero, ambiti ad alta occupazione rosa, mentre sono state oltre 10mila in meno le iscrizioni di nuove aziende guidate da donne tra aprile e giugno 2020 rispetto allo stesso trimestre del 2019.
Eppure, alcune ricerche internazionali rivelano che le startup fondate da donne o comunque con una presenza femminile significativa nel management hanno maggiore probabilità di ricevere investimenti rispetto a quelle costituite da soli uomini. E “messe alla prova”, dimostrano non essere certamente da meno dei colleghi maschi quanto a preparazione e determinazione.
Anche una recente indagine (Ref Ricerche) sulle donne imprenditrici ci restituisce una fotografia molto dinamica e forte della categoria: le imprenditrici intervistate hanno in media 42 anni, il 30% è laureata (dato molto superiore alla media nazionale) e quasi il 60% è anche mamma. E ancora, l’86% delle imprenditrici intervistate vive il lavoro come strumento fondamentale per la propria realizzazione personale; provano una forte gratificazione nell’essere autonome (52%), e nel fare quello che sognavano di fare (47%), mentre le prospettive di guadagno non sono la prima spinta a mettersi in gioco (27 %) Inoltre per il 46% delle intervistate la propria impresa è l’unica fonte di reddito della famiglia e per il 54% è un’impresa di successo.  Il segreto? Le qualità umane, il carattere e la determinazione, subito dopo la formazione e l’aggiornamento continuo. E nonostante le difficoltà, l’80% delle intervistate consiglierebbe questa esperienza alle altre donne.

È evidente quindi che il problema del mancato coinvolgimento delle donne nel mondo imprenditoriale non è certamente biologico, ma sociale e culturale, con un non trascurabile impatto economico.

Anche per queste ragioni, come Gruppo Giovani di Apindustria Confimi Vicenza siamo orgogliosi di avere una rappresentanza femminile significativamente superiore alla media: nel nostro Direttivo su 16 componenti 6 sono donne. Sei non è la metà, potrebbe ribattere qualcuno: la matematica gli darebbe ragione, ma l’osservazione sarebbe ugualmente fuori luogo, perché le 6 componenti donne fanno parte del Direttivo semplicemente in quanto imprenditrici piene di entusiasmo, volontà e idee, che desiderano confrontarsi e collaborare con altri colleghi e colleghe imprenditori. Non ne fanno parte “perché donne”.

Ma come incrementare la presenza delle donne alla guida delle imprese? Su questo fronte come giovani imprenditori abbiamo la sensazione che la strada da percorrere sia ancora lunga, a partire dai modelli culturali proposti ai giovanissimi: se infatti il problema è innanzitutto culturale, è da qui che è necessario partire.

È evidente, infatti, che mancano i “role model al femminile”, storie di donne proposte come campionesse dell’imprenditoria in grado di stimolare e supportare l’azione di altre donne. Assieme ai modelli, manca inoltre un’attenzione specifica a indirizzare bambine e ragazze verso percorsi di studio più adatti a costruirsi un futuro imprenditoriale: in particolare le materie STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) – e dunque le conoscenze e competenze in scienza, tecnologia, ingegneria e matematica – continuano a essere ambiti di studio scelti prevalentemente dagli uomini, e questo rappresenta una grande opportunità mancata.

Occorre agire sui modelli culturali e sulla formazione, quindi, ma anche sui servizi e le infrastrutture per aiutare le donne a conciliare gli impegni familiari con la carriera.
Perché se è vero che almeno nelle nuove generazioni – i famosi “giovani imprenditori” – il genere ha smesso da tempo di essere una discriminante rispetto alle capacità imprenditoriali o alla credibilità nei confronti di clienti e fornitori, è indubbio che le nostre imprenditrici, anche quelle più giovani, continuano a dover affrontare ogni giorno un fardello talvolta pesante, fatto di ulteriori compiti e pretese che niente hanno a che vedere con il loro essere imprenditrici, ma che certamente rende la loro scelta professionale ogni giorno un po’ più difficile rispetto ai colleghi maschi.
Ecco allora che per i Giovani Imprenditori di Apindustria Confimi Vicenza affrontare il tema del “Diversity Management” significa anche ricordare e sottolineare tutte le altre incombenze quotidiane che la società continua ad aspettarsi dalle donne.

Perché certo, essere imprenditori in linea di principio significa disporre con maggiore libertà del proprio tempo, ma chiunque gestisca un’impresa o un’attività professionale sa benissimo che questa libertà va intesa soprattutto come flessibilità, non certo come assenza di impegni e scadenze da rispettare. Anzi, guidare un’azienda significa che la responsabilità finale è sempre in capo a sé, e questo non è mai cambiato e difficilmente cambierà, a prescindere che gli imprenditori siano giovani o meno giovani, uomini o donne.

Queste ultime però, oltre a questo carico di responsabilità in azienda, devono affrontare ogni giorno molte altre incombenze. Perché nel mondo del lavoro almeno in parte gli stereotipi di genere staranno anche scomparendo, ma nel resto della società la strada da fare è ancora tantissima.

Alle donne imprenditrici, infatti, oltre che dirigere con successo un’azienda, si chiede comunque di prendersi cura dei figli e della casa, in un modo che non si pretenderebbe mai da un imprenditore maschio. Certo, la maternità è un atto squisitamente femminile, dirà qualcuno, ed è verissimo, ma in Italia mancano i servizi a supporto di quest’ultima.
Ecco allora che il tema del Diversity Management va ricondotto a quello più ampio del welfare aziendale e anche su questo i giovani imprenditori, con la loro apertura a esplorare nuove soluzioni per problemi antichi, possono fare molto, partendo dalle prossime aziende.
Possono ad esempio incrementare il numero di imprese nelle quali è presente un nido aziendale, magari unendo le forze con altre aziende vicine. Possono incentivare l’utilizzo degli strumenti per il lavoro flessibile (anche quando sarà superata la pandemia). Possono essere una parte attiva nella diffusione di contratti integrativi nei quali imprenditori e datori di lavoro trovino di comune accordo soluzioni per rendere più semplice conciliare le esigenze del lavoro e quelle della vita familiare.

Perché un welfare aziendale davvero efficace rende i dipendenti più felici e produttivi (tutti, uomini e donne) e migliora la reputazione delle aziende, aumentandone in definitiva la competitività.

Ecco perché promuovere il potenziale lavorativo delle donne non è solo una scelta giusta, è una scelta vincente.

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