Come la pandemia ha trasformato il mondo del lavoro

 Come la pandemia ha trasformato il mondo del lavoro

Con l’inizio di maggio si è fatto un nuovo importante passo verso il ritorno alla normalità, un altro step nella road map che, lentamente, ci accompagnerà fino al momento in cui si lasceranno definitivamente alle spalle mascherine e Green pass.

Il Covid-19 in quel momento resterà solo un terribile ricordo. Ma non si può certo dire che il mondo tornerà a essere realmente quello di prima: una pandemia come quella che abbiamo vissuto non può non lasciare sul campo cambiamenti importanti. Non tutti negativi, peraltro. Si pensi all’evoluzione conosciuta dal mondo del lavoro, oggi così diverso sotto molti aspetti rispetto a quello di fine 2019.

«Il Covid-19 ha imposto svariati cambi di passo alle aziende, e di certo la gestione delle risorse umane non fa eccezioni. Anzi, è forse proprio nella gestione e nella selezione dei talenti che il mondo del lavoro è cambiato maggiormente con l’emergenza sanitaria», spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting specializzata nella selezione di personale qualificato e nello sviluppo di carriera.

Quando si pensa alle rivoluzioni portate o accelerate dal Covid-19 si pensa immediatamente allo smart working.

«Certo, il lavoro agile è qualcosa che era già pronto a diffondersi, ma che con la pandemia ha conosciuto un’enorme accelerazione, espandendosi con un ritmo che mai sarebbe stato possibile in situazioni normali. Ma se dapprima lo smart working è stato calato dall’alto e interpretato in modo emergenziale come lavoro da remoto, oggi invece è nel mirino di tante aziende e di tantissimi professionisti, nella sua accezione più originale nonché permanente» spiega l’head hunter, che ha seguito da vicino, e per questo conosce molto bene i cambiamenti del mondo del lavoro dell’ultimo biennio.

Mentre il mondo del lavoro sta vivendo la contro-migrazione verso gli uffici al rientrare dell’emergenza sanitaria, quindi, si allarga il fronte dei lavoratori desiderosi di mantenere lo smart working nella propria vita professionale: «è ormai normale, nei colloqui conoscitivi, incontrare professionisti dei più diversi settori e con le più differenti esperienze professionali porre come prerequisito fondamentale la possibilità di lavorare in smart working. Nello specifico, la maggior parte dei candidati punta a uno o due giorni di lavoro in agilità alla settimana, per meglio equilibrare sfera professionale e personale».

Non si parla però solo di smart working: la pandemia ha cambiato in modo diretto e indiretto anche altri aspetti del mondo del lavoro. «Da una parte il Covid-19 ha portato le aziende a cercare qualcosa di diverso nei propri nuovi assunti, con la consapevolezza di vivere in uno scenario in cui la situazione lavorativa può cambiare da un momento e l’altro: per questo cerchiamo con maggiore frequenza agilità e flessibilità mentale. Dall’altra la pandemia ha portato i dipendenti a focalizzarsi maggiormente sull’importanza del proprio benessere fisico e psicologico. In generale, le persone sono meno disposte a fare dei compromessi su questi aspetti, e il significativo aumento di dimissioni volontarie che hanno avuto luogo anche in Italia lo dimostra».

A dimostrare che la Great Resignation non è unicamente un fenomeno americano c’è per esempio una recente indagine Aidp, l’Associazione italiana per la direzione del personale, effettuata su 850 rispondenti tra direttori del personale e aziende, la quale dice che il 75% delle aziende italiane ha già avuto a che fare con un aumento delle dimissioni volontarie, in particolar modo per quanto riguarda le aree di informatica, marketing e produzione.

«L’aumento delle dimissioni è in linea con la volontà via via più forte dei dipendenti di avere un lavoro quanto più possibile ideale: si mira a posti in cui sia possibile fare davvero la differenza, in cui ci si possa sentire un elemento integrante e indispensabile», continua la Adami.

Come spiega l’head hunter, nel caso dei lavoratori più giovani ci sono ulteriori aspetti da prendere in considerazione: «per i Millennial è particolarmente importante il tema della formazione continua in azienda, con la possibilità di crescere, di imparare e di fare carriera, che finisce per superare per importanza il fattore stipendio.

Non va poi sottovalutato il fatto che i giovani sono sempre meno disposti a lavorare per realtà che non rispecchiano i loro valori: anche questo punto deve essere tenuto in grande considerazione per non vedere calare inesorabilmente le candidature in risposta ai propri annunci di lavoro».

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