Spesa in aumento, ma resta il gap con il 2007
Nel 2025 la spesa pro capite reale sul territorio economico ha raggiunto i 22.114 euro (era 19.322 € nel 1995) con un aumento di 239 euro rispetto al 2024 ma ancora inferiore ai picchi del 2007 (-220 euro).
Ict e tempo libero trainano le nuove abitudini
La rivoluzione tecnologica ha lasciato il segno nei comportamenti di spesa degli italiani: negli ultimi tre decenni la spesa pro capite per informatica e telefoni ha registrato una crescita vertiginosa di quasi il 3.000%. In parallelo, anche i consumi legati alla fruizione del tempo libero – in particolare i servizi culturali e ricreativi – hanno mostrato un progresso significativo, con un aumento reale di oltre il 120%.
Ad eccezione del comparto tecnologico e del tempo libero, poche altre voci mostrano segnali strutturali di espansione. Le spese per viaggi e vacanze (+18%) e ristorazione (+25,7%) – sebbene in ripresa – non hanno ancora recuperato completamente le perdite post-pandemiche. Al contrario, il contenimento della domanda di beni tradizionali continua a consolidarsi anche nel 2025, segno di una prudenza che riflette sia scelte culturali che incertezze percepite.
I beni tradizionali perdono centralità
Calano, invece, le categorie più consolidate: alimentari e bevande segnano un calo del 5,1% rispetto al 1995, l’abbigliamento perde lo 0,5% e i mobili ed elettrodomestici restano sostanzialmente stabili (+0,8%). In contrazione anche il consumo reale di energia domestica (-35,1%), dovuto principalmente alla crescente attenzione al risparmio e all’efficienza energetica, sebbene il prezzo unitario dell’energia sia cresciuto notevolmente.
Questi, in sintesi, i principali risultati che emergono da un’analisi dell’Ufficio Studi sui consumi delle famiglie italiane 1995-2025.
I fondamentali dell’economia italiana, almeno nell’ottica di breve termine, sono indubbiamente solidi: reddito disponibile reale delle famiglie superiore ai livelli pre-pandemici, occupazione ai massimi, la valutazione del nostro debito pubblico da parte dei mercati finanziari è lusinghiera (lo spread rispetto al decennale tedesco è sotto i novanta punti base), inflazione intorno al 2% con prevedibile chiusura in media d’anno all’1,5% (o 1,7% per tenere conto di “imprevedibili” tensioni). L’aspetto di debolezza dell’attuale scenario è costituito dal profilo dei consumi delle famiglie. Gli italiani sottostimano grandemente e più degli altri concittadini europei la variazione del proprio reddito reale: ci percepiamo peggio di come siamo e, quindi, spendiamo meno di quanto potremmo. Tuttavia, in assenza di ulteriori shock avversi, è probabile che nei prossimi mesi si assista a un rasserenamento dell’orizzonte della fiducia, causato da un più realistico apprezzamento delle condizioni di reddito crescente e inflazione costante o decrescente. Ciò porterebbe a una variazione positiva dei consumi attorno all’1% e al raggiungimento di una variazione del PIL nell’anno in corso dello 0,7% (tab. 1).
La tabella 2 sintetizza le difficoltà perduranti che si riscontrano nel profilo della spesa reale pro capite. Si vede bene che la spesa per consumi ha sì ben recuperato i livelli pre-pandemici ma è ancora al di sotto dei livelli di massimo del 2007 (-220 euro reali).
L’auspicato rasserenamento dell’orizzonte della fiducia, accennato sopra, comporta, dunque, una variazione positiva dei consumi attorno all’1%, una performance certo non disprezzabile, almeno in ottica di breve periodo. In ipotesi di svolgimento favorevole dello scenario macroeconomico è possibile recuperare i massimi del 2007 già alla fine del 2026.
La composizione dei consumi cambia secondo trend consolidati. Più tecnologia e comunicazioni, più servizi legati alla fruizione del tempo libero. E questo si verifica anche in un contesto di crescita modesta. È un indice di resilienza da parte delle famiglie (tab. 3).
L’ultimo dato in basso a destra dice che la spesa totale pro capite in termini reali, fatto cento il 1995, è oggi pari a 114,4. Nell’ultima colonna gli indici superiori a questo parametro indicano attrattori di spesa, tanto più rilevanti quanto più elevato è il corrispondente indice (si veda il valore di oltre 3.000 per le apparecchiature informatiche e di comunicazione, cioè dai personal computer agli smartphone di ultima generazione).
Più che raddoppiati rispetto a trent’anni fa anche le spese per i servizi ricreativi e culturali.
Per quanto riguarda i pasti fuori casa-pubblici esercizi e i servizi di alloggio-viaggi e vacanze la lettura è più complessa. La Contabilità nazionale dice con chiarezza che il lungo termine sposta risorse su queste voci di spesa legate anche al turismo, ma che nel complesso in termini reali non si sono recuperati i livelli pre-pandemici. Da questi consumi, anche correlati all’incoming, passa una potenziale importante spinta alla crescita del PIL italiano nel prossimo biennio.
Male, invece, abbigliamento e calzature, su cui pesa una variazione strutturale della domanda, orientata oggi verso capi a minore valore intrinseco rispetto a una volta.
È importante sottolineare il ruolo del risparmio energetico dovuto alle innovazioni tecnologiche. Il consumo reale di elettricità, gas e altri combustibili si è ridotto del 35% circa. Ma, come noto, il prezzo unitario dell’energia è molto cresciuto.
La riduzione della spesa reale per l’alimentazione domestica ha radici note: demografia e servizi fuori casa comprimono questi consumi.
Nella tabella 4 vengono riportate le quote di spesa a prezzi correnti la cui importanza è data, al di là degli aspetti di costume sui cambiamenti della composizione sugli atteggiamenti di acquisto e consumo, dal fatto che indica il peso effettivo delle diverse voci sul budget di spesa corrente che mediamente una famiglia deve, può e vuole sostenere durante un anno. Si deve considerare che dentro le spese a prezzi correnti ci sono gli effetti delle variazioni assolute e relative dei prezzi di vendita.
La prima considerazione riguarda l’energia: a fronte di una riduzione della spesa del 35% la quota corrente scende in trent’anni “solo” del 15%, cioè di sette decimi di punto percentuale assoluto. I prezzi sono cresciuti, come è noto. Aggiungendo affitti effettivi e imputati e il resto della gestione domestica si capisce che passare in trent’anni dal 25,8% a quasi un terzo della quota di spesa per l’abitazione costituisce il principale limite al pieno dispiego del benessere che le famiglie possono ritrarre dai consumi: queste spese sono infatti prevalentemente obbligate. La cura del sé resta un capitolo di spesa fondamentale ma le vicissitudini dell’importante voce abbigliamento e calzature ne comprime la dinamica.
D’altro canto, le novità confortanti provengono dai servizi legati al tempo libero. Nell’ultimo biennio crescono le quote di spesa per i consumi fuori casa, per viaggi e vacanze e servizi di trasporto.