Confindustria: la guerra frena l’Europa, in particolare l’Italia, l’inflazione penalizza gli Usa, il Covid la Cina

 Confindustria: la guerra frena l’Europa, in particolare l’Italia, l’inflazione penalizza gli Usa, il Covid la Cina

La guerra frena l’Europa, in particolare l’Italia. Lo scenario italiano – secondo l’Ufficio Studi di Confindustria – è in peggioramento a causa del rincaro dell’energia e di altre materie prime. Gli interventi pubblici sono ancora insufficienti. Per l’industria peggiorano tutti gli indicatori, i servizi sono in stallo, l’export è atteso debole. Nell’Eurozona pesano incertezza e sfiducia e i tassi di interesse a lunga sono in rialzo. L’inflazione penalizza gli USA, che comunque partono bene nel 2022, il Covid la Cina, che rallenta.

Per un’analisi completa sull’economia italiana ed internazionale rimandiamo al Rapporto di previsione di primavera dal titolo “L’economia italiana alla prova del conflitto in Ucraina”

L’economia italiana e internazionale in breve

  • Scenario deteriorato. Gli indicatori congiunturali a marzo hanno confermato il netto indebolimento dell’economia italiana. Il conflitto in Ucraina amplifica i rincari di energia e altre commodity, accresce la scarsità di materiali e l’incertezza. Sommandosi agli effetti dei contagi, ciò riduce il PIL nel 1° trimestre 2022 e allunga un’ombra sul 2°: l’andamento in aprile è compromesso e le prospettive sono cupe.
  • Shock sulle materie prime… Il prezzo del petrolio si è impennato, toccando un picco di 133 dollari al barile a marzo e poi assestandosi in aprile a 105 (da 74 a dicembre). Profilo simile per il gas naturale in Europa: picco a 227 euro/mwh a marzo e assestamento a 104 in aprile, che significa ancora +698% sul pre-Covid. Il prezzo dell’elettricità in Italia continua a risentirne molto (+523% nello stesso periodo). I prezzi delle altre materie prime, con il conflitto, hanno accentuato i rincari: metalli +86%, cereali +77% a marzo da fine 2019. Tutto ciò pesa su costi e investimenti delle imprese e sulla spesa delle famiglie.
  • …e interventi parziali. A fronte del caro-energia, il Governo ha finora stanziato, per la prima metà del 2022 e senza ricorrere a deficit aggiuntivo, circa 14 miliardi di euro: 11 a sostegno di famiglie e imprese (di cui 1,2 per le grandi imprese solo per il 1° trimestre) e 3 per primi interventi strutturali su gas, energie rinnovabili e a sostegno delle filiere dell’automotive e dei micro-processori.
  • Industria: peggiorano tutti gli indicatori. A marzo, si è accentuata l’erosione della fiducia delle imprese manifatturiere, già in atto da fine 2021. Il PMI del settore è sceso ulteriormente, pur restando in area positiva (55,8 da 58,3). Gli ordini totali per la manifattura sono in flessione ancora contenuta. Dopo la volatilità di gennaio-febbraio, l’impatto del conflitto sulla produzione è atteso approfondirsi a marzo: ciò significa un calo significativo nella media del 1° trimestre, che contribuisce molto alla flessione del PIL.
  • Servizi in stallo. Nei servizi il PMI indica rallentamento a marzo (52,1 da 52,8) e la fiducia delle imprese è in calo (99,0 da 100,4). A causa di contagi e incertezza, resta compressa la mobilità delle famiglie (per il tempo libero -16,6% nel 1° trimestre dal pre-Covid), tenendo debole la domanda di servizi. Questo si somma a un recupero ancora parziale del turismo fino a febbraio (-15% i viaggi di stranieri in Italia).
  • Export atteso debole. L’export italiano cresceva prima del conflitto: +5,8% a dicembre-febbraio sui tre mesi precedenti, ben oltre i livelli pre-Covid. Buona parte dell’aumento era dovuta al rialzo dei prezzi sui mercati esteri (+2,8%). Erano in crescita le vendite nei principali mercati, UE ed extra-UE, e settori manifatturieri (ma ancora deboli gli autoveicoli). I primi effetti della guerra in Ucraina, però, sono già visibili negli ordini manifatturieri esteri, in forte calo a marzo. Inoltre, la dinamica del commercio mondiale, già piatta a inizio anno per il calo degli scambi in Asia e l’aumento in Europa, ha prospettive negative, secondo il PMI sugli ordini manifatturieri esteri globali, caduto a marzo (48,2 da 51,0).
  • Eurozona: pesano incertezza e sfiducia. A seguito del conflitto, tutti i paesi dell’Eurozona, sebbene in maniera eterogenea, hanno registrato una forte caduta della fiducia (ESI da 113,9 a 108,5 a marzo) e un ampio aumento dell’incertezza (+64% a marzo), salita ai massimi dopo due anni. L’aumento dell’inflazione (+7,5% a marzo) grava sulle prospettive economiche. Anche il sentiment degli imprenditori è stato eroso e si è indebolito l’indice PMI (da 55,5 a 54,9). Il ridotto ottimismo impedisce quella piena ripresa della domanda interna dell’area che in precedenza era attesa.
  • USA: parte bene il 2022. La FED ha rivisto al ribasso la previsione di crescita per il 2022 (+2,8% da +4,0%). Negli USA, però, l’anno è iniziato con una buona performance della produzione industriale (+0,9% a marzo, dopo gli incrementi di gennaio-febbraio; +2,0% sul 4° trimestre 2021). A marzo sono saliti anche gli indici PMI manufatturiero (58,8 da 57,3) e dei Direttori degli acquisti di Chicago (62,9 da 56,3). Le vendite al dettaglio hanno rallentato, ma crescono (+0,5%, dopo il +0,8% di febbraio), spinte dal robusto aumento della fiducia dei consumatori (indice Michigan a 65,7 in aprile, da 59,4), che non sembra risentire dell’inflazione esplosiva (+8,5%, con +6,5% di core; +6,4% e +5,4% nella misura PCE).
  • Cina in frenata. In Cina le misure adottate per contrastare l’ennesima ondata di pandemia frenano la manifattura a marzo, quando si registra la caduta più ripida dell’output e dei nuovi ordini da inizio 2020. Le restrizioni alla mobilità rendono più difficile anche il flusso di beni lungo le catene di fornitura, mentre s’impennano i costi per gli input produttivi. Questi fattori e la guerra in Ucraina comprimono la fiducia degli imprenditori cinesi ai minimi da tre mesi. E l’anticipatore OCSE indica rallentamento. L’industria cresce, invece, in India e Brasile, sebbene la fiducia risenta anche qui delle strozzature nelle catene di fornitura e dell’aumento dei prezzi. Intanto, in Russia crolla l’indice PMI manifatturiero.

Focus del mese – Tassi di interesse a lunga in rialzo in Europa

  • Tassi ufficiali fermi ancora per poco Nella riunione di metà aprile la BCE ha (quasi) confermato la fine del QE nel 3° trimestre 2022: dopo il taglio a 20 miliardi a giugno, gli acquisti di titoli potrebbero scendere a zero a luglio o nei mesi seguenti. Non si è ancora mossa, invece, sul tasso ufficiale a breve, che è fermo a zero (-0,5% sulle riserve delle banche), distanziandosi dalla FED che ha già deciso a marzo il primo rialzo. La forward guidance della BCE, però, lega i rialzi dei tassi proprio al timing del QE: indica che i tassi saliranno “qualche tempo dopo” la sua fine. La Lagarde ha chiarito in aprile che questo può significare una settimana o diversi mesi. Quindi, se il QE terminerà davvero nel 3° trimestre, i tassi potrebbero iniziare a salire negli ultimi mesi del 2022 o al massimo a inizio 2023. I mercati scommettono sul primo scenario: i future incorporano un paio di rialzi entro fine 2022.
  • Stretti i margini di manovra della BCE L’economia europea, più di quella USA, è colpita dal conflitto in Ucraina, che ha accresciuto i rincari delle commodity, la scarsità di materiali, l’incertezza, e creato nuovi vincoli all’export: ci sarebbe bisogno di misure espansive. Ma quegli stessi rincari di energia e altre commodity hanno fatto balzare l’inflazione (+7,5% a marzo) e una stretta monetaria, cioè un rialzo dei tassi, potrebbe frenare solo parzialmente i prezzi, ma abbatterebbe ancor più il PIL. Lo scenario nell’Eurozona è complicato dall’ampia eterogeneità tra paesi, in termini di prezzi (+11,9% in Olanda e +9,8% in Spagna, contro +5,1% in Francia), ma anche di dinamica del PIL (si riduce in Italia nel 1° trimestre, non nell’Eurozona in aggregato).
  • Ma salgono i tassi a lunga Mentre la BCE tiene fermi i tassi ufficiali, i tassi di mercato a lungo termine nell’Eurozona stanno già salendo rapidamente. Il Bund a 10 anni, che era negativo a fine gennaio (-0,03%), è balzato a 0,83% in aprile; il BTP è salito da 1,26% a 2,44% (+1,18), portandosi sopra il picco del 2020. Sono cresciuti anche gli spread: tra Bund e Btp si è ampliato da 1,29 a 1,62 punti (+0,33), tra tasso tedesco e spagnolo da 0,78 a 0,91 punti (+0,13), per il francese da 0,30 a 0,37 punti (+0,07). Questa è un’ulteriore complicazione per la BCE: la flessibilità degli acquisti di titoli era stata introdotta proprio per agire contro l’allargarsi degli spread. Senza nuovi acquisti, si può applicare la flessibilità ai reinvestimenti in titoli, alla scadenza dei vecchi, ma lo strumento appare depotenziato. Anche se la BCE potrebbe inventarne di nuovi.
  • Cause del rialzo L’aumento dei tassi a lunga non è estraneo alle mosse della BCE: c’è infatti un preciso legame tra la frenata negli acquisti di titoli e la risalita dei tassi sovrani. Quando la BCE acquista meno titoli, ne riduce la domanda totale, che stava sostenendo i loro prezzi di mercato e teneva bassi i rendimenti. Terminare il QE, quindi, equivale a togliere il “freno” ai tassi, che hanno iniziato a salire perché c’era già un motivo sottostante per un aumento. Il motivo è la ricaduta in Europa di quello che succede ai tassi USA: il Treasury a 10 anni è salito da 1,64% a fine 2021 a 3,04% in aprile, per la normalizzazione della policy FED (che potrebbe varare a breve anche i reinvestimenti parziali, ovvero la riduzione dello stock di titoli).
  • I tassi o il cambio Con mercati finanziari ben integrati come quelli europei e americani, incluso il mercato delle valute che determina il cambio, cruciale per guidare i flussi di export-import tra i due continenti, l’alternativa a una rincorsa dei tassi europei rispetto a quelli USA è una svalutazione dell’euro rispetto al dollaro. Che, infatti, è in parte già avvenuta: da 1,13 a 1,09 il cambio dollaro/euro tra gennaio e aprile. Questo però alimenta l’inflazione in Europa, che è già troppo alta, anche se agevola le esportazioni verso gli USA.
  • Impatto sull’economia italiana Il rialzo dei tassi a lunga è un problema per l’Italia (e gli altri paesi). Farà crescere gradualmente la spesa per interessi, man mano che le nuove emissioni avverranno a tassi più alti. Perciò, l’Italia avrà meno spazi di bilancio per mettere in campo una nuova manovra espansiva di finanza pubblica. Dato l’alto debito, le politiche dovranno essere prudenti anche per evitare ulteriori balzi dello spread. Inoltre, se il rialzo del BTP si trasferisse al costo della raccolta bancaria e facesse crescere anche il costo del credito, ciò determinerebbe un ulteriore aggravio di costi per imprese e famiglie, già colpite dal caro-energia. Questo penalizzerebbe sia gli investimenti che i consumi privati, zavorrando il PIL italiano.

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