Confisca illegittima anche se l’imputato non giustifica la provenienza dei beni

 Confisca illegittima anche se l’imputato non giustifica la provenienza dei beni

La Cassazione Penale, sezione II°, nella recentissima sentenza n.30241 del 12 luglio 2023  ha ritenuto illegittima la confisca dei beni dell’imputato anche se lo stesso non è riuscito a fornire giustificazioni in merito al possesso degli stessi (sentenza visibile su www.studiolegalesances.it  – sez. Documenti).

Nel corso delle indagini, infatti, gli investigatori rinvenivano una serie di beni di valore complessivamente rilevante e del tutto sproporzionati rispetto alla situazione finanziaria dell’imputato.

Nei precedenti gradi i giudici avevano disposto la confisca per sproporzione poiché lo stesso imputato non era stato in grado di fornire spiegazioni sul possesso degli oggetti di grande valore rinvenuti nell’abitazione e nel magazzino dello stesso.

I giudici della Cassazione, però, hanno annullato la decisione chiarendo le diverse ragioni per le quali sui beni di un imputato di ricettazione può essere apposto il vincolo di indisponibilità.

Se, infatti, il bene si ritiene di provenienza furtiva deve essere specificamente individuato il reato di furto. Diversamente, se la persona che ha disponibilità dell’oggetto rubato non ha commesso il furto ma non è in grado di dare una spiegazione su come ne sia venuto in possesso, ciò concorre a provare la sua consapevolezza della provenienza illecita che può dimostrare il reato di ricettazione (articolo 648 del Codice penale) a cui però non può conseguire la confisca.

Nello specifico, i giudici della Suprema Corte hanno sancito che (si veda il punto 2.4 della sentenza) “In merito alla confisca dei beni sequestrati a B.B. e diversi da quelli ricompresi nell’imputazione ex art. 648 c.p., il Tribunale ha affermato che la disposizione di cui al D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12-sexies, (ora confluita nell’art. 240-bis c.p.) risultava applicabile in ragione della mancanza di giustificazione valida per il possesso di tanti beni di valore complessivamente rilevante, del tutto sproporzionati rispetto alla situazione finanziaria dell’imputato, privo di fonti di reddito lecite (avendo dichiarato di essere impossidente e dedito ad attività in nero, che gli procuravano circa duecento Euro alla settimana). … l’odierno ricorrente aveva a suo tempo censurato la decisione di primo grado, che, a suo dire, non teneva in adeguata considerazione la qualità di “restauratore e hobbysta”, operante da decenni nei mercatini dell’antiquariato, come comprovato da documentazione manoscritta agli atti da cui emerge l’acquisto e l’alienazione di oggetti da collezionismo, con transazioni economiche operate su carte PostePay. La Corte di Torino, sul punto, si limita ad osservare – erroneamente – come la ragione del vincolo sulle cose in sequestro debba individuarsi nella loro provenienza furtiva, equivocando con ogni evidenza la fattispecie applicata in primo grado e comunque omettendo di offrire una risposta allo specifico motivo di appello. Il Tribunale aveva infatti accuratamente distinto, con esplicita indicazione in riferimento ai corposi elenchi contenuti nei due verbali di sequestro, gli oggetti sui quali il vincolo reale derivava dalla provenienza delittuosa (per i quali è stata disposta la restituzione agli aventi diritto) e quelli invece la cui disponibilità, pur in assenza di indicazioni circa la loro ricezione, non era giustificata da comprovate fonti di reddito in ragione del loro valore complessivamente rilevante. Questa lacuna motivazionale deve essere colmata mediante nuovo esame della questione da parte della Corte di merito. 2.5. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere in parte annullata con rinvio per nuovo giudizio, per la fondatezza del quarto motivo del ricorso di B.B., con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino che, nel procedere ad un nuovo esame della istanza difensiva, terrà conto dei rilievi sopra indicati. Le restanti censure proposte dal medesimo ricorrente debbono essere dichiarate inammissibili”.

Alla luce delle considerazioni della Suprema Corte, ne deriva che per tutti i beni che non provengono direttamente dal furto e che risultano nella disponibilità dell’imputato, la confisca non è legittima se motivata solo con l’assenza di una verosimile giustificazione dello stesso sulle modalità di acquisto. Il provvedimento del giudice, infatti, dovrà quanto meno ricollegarsi alla sproporzione tra il valore dell’eventuale acquisto e il reddito lecito disponibile.

Non risulta, dunque, determinante l’incapacità dell’imputato a giustificare il possesso del bene per dimostrare che si tratta di beni oggetto di furto. Nel reato di ricettazione il dato certo deve essere la provenienza illecita del bene mentre la mancata spiegazione dell’acquisto costituisce solo un elemento indiziario che non può in alcun modo giustificare la confisca.

Dott. Danilo Romano

Avv. Matteo Sances

www.centrostudisances.it 

Foto di Sora Shimazaki: https://www.pexels.com/it-it/foto/foto-ravvicinata-del-martello-di-legno-5668473/

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