Cosa resterà dopo lo stato d’eccezione?

 Cosa resterà dopo lo stato d’eccezione?

L’alba di una nuova transizione digitale. La pandemia ha costituito uno straordinario, imprevisto, potentissimo fattore di accelerazione del paradigma biomediatico, prefigurando l’alba di una nuova transizione digitale, che adesso coinvolge anche coloro che finora ne erano rimasti ai margini. In futuro basta con le file e le richieste su carta stampata, largo a servizi e app che permettano di ottenere certificati e documenti con un clic: è il desiderio del 38,1% degli italiani. La Pa digitale è considerata irrinunciabile anche dopo la pandemia. Seguono l’e-commerce (29,9%), il conto corrente online (24,3%) e l’home delivery (24,2%) come opportunità alle quali non rinunciare neanche dopo la fine dell’emergenza. Per il 20,2% è lo smart working a essere intoccabile (e il dato sale al 28,6% tra i 30-44enni).

Lo Spid e le due Italie digitali. Complessivamente, quasi la metà della popolazione italiana (il 48,7%) ha già attivato l’identità digitale Spid. Ma i divari sociali e territoriali pesano ancora molto, perché le maggiori resistenze o difficoltà di accesso sono concentrate in alcune aree del Paese e in alcuni specifici segmenti socio-demografici. Le percentuali più elevate si registrano nelle grandi aree metropolitane (59,5%) e tra le persone dotate di titoli di studio più alti (tra i diplomati e i laureati si supera la soglia della metà: si sale al 61,6%), mentre i picchi più bassi, rispetto alla media nazionale, si riscontrano al Sud (40,2%) e tra gli anziani (32,1%).

Il bello e il brutto di internet. Oltre all’informazione e all’intrattenimento, le tecnologie digitali hanno garantito la continuità di molte attività, pubbliche e private: dalle relazioni affettive e sociali al commercio elettronico, dallo smart working alla didattica a distanza. Per il 58,6% degli italiani i dispositivi digitali hanno permesso di provvedere alle proprie necessità durante la pandemia. Per il 55,3% sono stati d’aiuto per mantenere le relazioni sociali. Per il 55,2% grazie ad essi si è potuto continuare a lavorare o a studiare. Però adesso più della metà (il 52,8%) si sente stanco dell’uso continuo dei dispositivi digitali e vorrebbe «staccare la spina». I device rubano troppo tempo secondo il 32,2% degli italiani, che nel 31,5% dei casi avvertono il bisogno di connettersi continuamente. E il 22,8% dichiara di non riuscire proprio a disconnettersi mai.

L’informazione al tempo del Covid: i telegiornali in testa. Anche durante i giorni dell’emergenza sanitaria, i telegiornali hanno mantenuto la posizione di vertice tra le fonti informative per il 60,1% degli italiani. Sono un riferimento indiscusso per i 65-80enni (73,2%), ma anche per il 42,3% dei 14-29enni. Al secondo posto c’è Facebook, utilizzato dal 30,1% degli italiani negli ultimi 7 giorni a scopi informativi. Poi i motori di ricerca come Google, che hanno attratto il 22,9% degli utenti per informarsi. Le tv all news (quarta fonte di informazione nel 2021 con il 22,5%) sono cresciute del 2,9%. I quotidiani cartacei registrano l’11,7% di utenza a scopi informativi (-5,8% rispetto al 2019) e i quotidiani online hanno incrementato la loro utenza a scopi informativi al 12,5% (+1,1%).

Tutti pazzi per le notizie scientifiche. Sicuramente la regina delle notizie nel palinsesto degli italiani resta la politica (per il 39,7%), ma la voglia di approfondire le informazioni sul Covid-19 ha avuto un riscontro nel crescente interesse per le notizie di tipo scientifico, medico e tecnologico: sono salite nelle preferenze del 33,4% degli italiani, rispetto al 27,7% del 2019.

Gli esperti in tv? Promossi solo dalla metà degli italiani. Le opinioni sulla presenza sulla ribalta mediatica degli esperti nei vari campi della medicina sono positive per oltre la metà degli italiani (54,2%): perché sono stati indispensabili per avere indicazioni sui comportamenti corretti da adottare (15,5%) o perché sono stati utili per comprendere quello che accadeva (38,7%). I giudizi sono invece negativi per il 45,8%: in quanto virologi ed epidemiologi sono stati inutili e hanno creato confusione e disorientamento (34,4%) o sono stati addirittura dannosi, perché hanno provocato allarme (11,4%).

Questi sono alcuni risultati del 17° Rapporto sulla comunicazione del Censis.

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