Criptovalute e fiscalità su attività di staking: il dietro front dell’Agenzia delle entrate

 Criptovalute e fiscalità su attività di staking: il dietro front dell’Agenzia delle entrate

A pochi giorni dalla risposta all’interpello n.433/2022, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta con una nuova risposta a fornire ulteriori chiarimenti in tema di Tassazione dei redditi derivanti dall’attività di staking di criptovalute, con la nuova risposta n.437/2022.

È il caso di dire che l’Amministrazione finanziaria se la “suona, fischia e canta”. Si perché a distanza di appena 48 ore dalla pubblicazione della risposta all’interpello n.433/2022 in tema di tassazione dei redditi derivanti dall’attività di staking di criptovalute, l’Agenzia delle Entrate pubblica una nuova risposta all’interpello n. 437/2022 rettificando la precedente interpretazione e affrontando nuovamente il tema dei compensi corrisposti da una società residente in Italia per l’attività di staking su criptovalute svolta,  al di fuori dell’esercizio d’impresa, da parte di un contribuente persona fisica residente in Italia.

Il punto di partenza con la risposta all’interpello n.433/2022

Ma proviamo a ricostruire il caso. Il punto di partenza dell’amministrazione finanziaria con la prima risposta all’interpello n. 433/2022 del 24 agosto 2022, accertava il comportamento da adottare da parte di un contribuente possessore di un crypto-wallet  su piattaforma gestita da una società italiana, la quale offriva servizi di staking su criptovalute. In prima battuta l’Agenzia delle Entrate chiarisce che in merito alla remunerazione derivante dalla attività di staking, ovvero del compenso in criptovalute corrisposto all’Istante a fronte del vincolo di disponibilità delle stesse, cioè di un impegno di non utilizzo per un lasso di tempo, è attuabile quanto previsto dall’articolo 44, comma 1, lettera h), del Tuir. Tale norma dispone che costituiscono redditi di capitale gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto. In pratica nella prima interpretazione, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che se i premi sono accreditati sul wallet da parte di un Exchange residente, la società deve applicare la ritenuta a titolo d’imposta del 26 per cento, ai sensi dell’articolo 26, comma 5, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

La rettifica con la risposta all’interpello n.437/2022

Passano due giorni ed il fisco italiano “addrizza il tiro” con la risposta all’interpello n. 437/2022 del 26 agosto 2022, secondo cui, richiamando nuovamente le precisazioni rese nella circolare 24 giugno 1998, n. 165/E circa la configurabilità di un reddito di capitale, l’Agenzia ritiene che le remunerazioni in criptovaluta percepite dalle persone fisiche, al di fuori dell’attività d’impresa, per l’attività di staking siano soggette ad imposizione ai sensi della citata lettera h) del comma 1 dell’articolo 44 del Tuir e, pertanto, se accreditate nel wallet da una società italiana, quest’ultima è tenuta all’applicazione della ritenuta a titolo di acconto nella misura del 26 per cento ai sensi dell’articolo 26, comma 5, del D.P.R. n. 600/1973. In sostanza non si applica più la ritenuta a titolo d’imposta del 26 per cento da parte dell’exchange ma semplicemente del 26 per cento a titolo di acconto. Nella risposta in oggetto, l’AE specifica quindi, che mentre nella precedente risposta (433/2022) si era affermato che tali remunerazioni non dovranno essere indicate nel modello Redditi della persona fisica in quanto la ritenuta è applicata a titolo d’imposta, ora, il fisco sottolinea che essendo l’istante una persona fisica residente in Italia, tali remunerazioni dovranno essere assoggettate a ritenuta a titolo d’acconto da parte della Società e indicate dal contribuente nella Sezione I-A  dei redditi di capitale del Quadro RL del Modello Redditi.

NO AL MONITORAGGIO FISCALE SU CRIPTOVALUTE DETENUTE SU EXCHANGE ITALIANI

Nessuna novità invece in merito al monitoraggio fiscale, in caso di portafogli detenuti su exchange residenti in Italia. Infatti, l’amministrazione finanziaria sottolinea ancora una volta che, tenuto conto che il contribuente detiene il wallet presso una società italiana, non è tenuto agli obblighi di monitoraggio fiscale e quindi alla compilazione del quadro RW, né tanto meno al pagamento dell’IVAFE. Ci sarà un ulteriore rettifica del fisco? Lo scopriremo nella prossima risposta all’interpello.

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