Dazi USA al 30% sull’UE: l’Italia rischia un crollo dell’export (-24%) e 150mila posti in fumo

Nel Punto della NewSvimez di Maggio 2025 lo Svimez ha fornito un primo quadro della complessa macchina tariffaria attivata dagli Stati Uniti con il Liberation Day, delineando un’analisi preliminare circa le cause profonde della svolta protezionistica americana. In quell’occasione mettevamo in guardia la classe dirigente nazionale ed europea dai facili entusiasmi seguiti agli accordi statunitensi con Cina e Regno Unito, scoraggiando letture semplicistiche che inquadrano le politiche commerciali americane come il portato esclusivo dell’agenda dell’istrionico Presidente Trump.

Se la diffusione dell’acronimo TACO – Trump Always Chickens Out – segnala la tendenza innegabile di Trump a minacciare tariffe, per poi sospenderle, in modo da aumentare il tempo a disposizione dei negoziati e tranquillizzare i mercati, dall’altro testimonia le resistenze nel dibattito economico europeo a riconoscere e accettare il cambio di fase: gli Stati Uniti non sono più disponibili ad agire come mercato di sbocco di ultima istanza per le economie mercantiliste europee e asiatiche.

La doccia fredda è arrivata l’11 Luglio con l’annuncio di una tariffa reciproca al 30% per tutti gli Stati membri dell’Unione Europea a partire dal 1° Agosto, comunicato in una lettera alla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen (qui la traduzione), in seguito a molte altre lettere inviate alle cancellerie di tutto il mondo, tutte costrette a fronteggiare l’introduzione di dazi differenziati per paese (Figura 1).

Figura 1. Aliquote tariffarie reciproche applicate dagli Stati Uniti ex IEEPA (aggiornate al 14 Luglio)

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Fonte: Elaborazioni Svimez da Hinrich Foundation. Note: la Cina è soggetta anche a una tariffa aggiuntiva del 20% associate alla questione del fentanil, mentre il Vietnam riceverà una tariffa base del 20%, che salirà al 40% in caso di transhipment.

Sebbene l’incertezza sulla politica commerciale statunitense rimanga elevata e vi sia ancora la possibilità di raggiungere un accordo che preveda un’aliquota più contenuta, come ventilato dallo stesso TrumpSvimez ha aggiornato le proprie stime sull’impatto dei dazi per l’economia italiana nel nuovo scenario, in considerazione della portata economica di un’aliquota generalizzata al 30%. In particolare, abbiamo considerato due scenari. Il primo fornisce una valutazione dell’impatto su export, Pil e occupazione a legislazione vigente, ossia considerando:

  • un’aliquota al 30% su tutti i beni esportati dall’Italia verso gli Stati Uniti a eccezione dei prodotti elencati nell’Annex II, che non saranno soggetti né alla tariffa universale del 10%, né alle tariffe reciproche per paese (energetici, semiconduttori, Materie Prime Critiche, prodotti chimici e farmaceutici e articoli in legno);
  • un’aliquota al 25% sulle automobili e relativa componentistica introdotta in base alla Sezione 232 del Trade Expansion Act (1962) ed entrata rispettivamente in vigore il 3 Aprile e il 3 Maggio;
  • un’aliquota del 50% su acciaio, alluminio e prodotti derivati (elettrodomestici in primis) in vigore dal 4 giugno e frutto del raddoppio dell’aliquota al 25% inizialmente introdotta a febbraio.

Nel primo scenario si assiste a una riduzione di quasi un quinto (-19,8%) dell’export verso gli Stati Uniti, pari a un calo di 12,4 miliardi a livello nazionale, di cui oltre 1 miliardo dal Mezzogiorno. Questo ridimensionamento delle esportazioni avrebbe ripercussioni significative sul Pil, con oltre 9 miliardi di euro in fumo su base annua (0,4%) e un calo dell’occupazione nell’ordine di 150mila addetti, di cui 13mila al Sud (Tabella 1).

Tabella 1. Scenario 1: impatto economico a legislazione vigente

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Fonte: Elaborazioni Svimez. Nota: i risultati della simulazione mostrano l’impatto su base annua delle tariffe considerate. Queste stime sono prudenziali, facendo esclusivo riferimento al calo diretto dell’export verso gli Stati Uniti, senza tener conto della riduzione indiretta dell’export nazionale complessivo innescata dai dazi statunitensi.

Nel Mezzogiorno, l’Agroindustria rischia un calo dell’export di oltre 460 milioni (pari al 44% del calo totale dell’Area) e la Meccanica di 170 milioni (16%), con contraccolpi importanti anche nel Mobilio, nelle Apparecchiature elettroniche e nell’Auto (Tabella 2). La regione più colpita del Sud sarebbe la Campania (calo di 445 milioni) – specialmente nell’Agroindustria (-243 milioni) e nell’Auto (-55 milioni) – seguita da Puglia (-226 milioni) e Abruzzo (-160 milioni).

Tabella 2. Impatto su export Mezzogiorno per Regione e settore (milioni di euro)

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Fonte: Elaborazioni Svimez

Il secondo scenario considera invece il rischio più rilevante legato alle indagini ai sensi della Sezione 232: le indagini attive in questo momento riguardano comparti strategici, alcuni dei quali estremamente rilevanti per l’export nazionale – o regionale – verso gli Stati Uniti, tra cui spicca il farmaceutico, con 8,9 miliardi l’export verso gli States nel 2024. Appare ad oggi estremamente probabile che, l’indagine su questo comparto si concluderà con una raccomandazione per l’adozione di misure specifiche per regolare l’import e con l’introduzione di una tariffa settoriale.

Lo Scenario 2 fornisce dunque una simulazione dell’impatto economico dei dazi a oggi vigenti, considerando anche l’introduzione di una tariffa al 30% sui prodotti farmaceutici (Tabella 3). Questo scenario restituisce risultati ancora peggiori, con una riduzione di quasi un quarto dell’export nazionale (-24%) verso gli Stati Uniti, pari a un calo di 14,8 miliardi. Il drastico ridimensionamento dell’export del farmaceutico verso gli Stati Uniti (pari a 1,8 miliardi, di cui 200 milioni riconducibili al Sud) contribuirebbe a generare un rallentamento economico complessivo di oltre mezzo punto di Pil (10,8miliardi) e ricadute occupazionali estremamente gravi (179 mila addetti). Per il Mezzogiorno, le ulteriori barriere tariffarie comporterebbero complessivamente un calo dell’export di 1,3 miliardi (-21%), con una riduzione di quasi 900 milioni del Pil (-0,2%) che metterebbe a rischio quasi 16mila posti di lavoro.

Tabella 3. Scenario 2: tariffe ulteriori al 25% su farmaceutico, aerospazio e semiconduttori

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Fonte: Elaborazioni Svimez. Nota: i risultati della simulazione mostrano l’impatto su base annua delle tariffe considerate. Queste stime sono prudenziali, facendo esclusivo riferimento al calo diretto dell’export verso gli Stati Uniti, senza tener conto della riduzione indiretta dell’export nazionale complessivo innescata dai dazi statunitensi.

Nel farmaceutico, la presenza di grandi multinazionali – statunitensi e non – e il loro rilevante peso sull’export nazionale complessivo ha rappresentato un grande punto di forza negli ultimi anni, ma rischia di trasformarsi in fattore di vulnerabilità, qualora l’obiettivo di rilocalizzazione dell’amministrazione statunitense dovesse, almeno in parte, concretizzarsi. Se questa riconfigurazione produttiva dovesse avere luogo, il colpo sarebbe durissimo in primis per regioni come Toscana (770 milioni di export a rischio) e Lazio (380 milioni), ma anche Abruzzo (190 milioni) e Campania nel Mezzogiorno.

In definitiva, gli ultimi sviluppi sul versante dazi segnalano l’urgenza di un cambio di approccio da parte dell’Unione Europea e del Governo italiano. Minimizzare i rischi associati alla crescente chiusura del mercato statunitense non è una strategia percorribile, neanche qualora si riuscisse a chiudere un accordo migliore rispetto agli scenari qui prospettati: a prescindere dalla tariffa reciproca che sarà sancita in via definitiva tra le due sponde dell’Atlantico, la svalutazione del dollaro sull’euro (-11% da inizio anno) potrebbe stabilizzarsi o, secondo diversi analisti, acuirsi, frenando ulteriormente la dinamica dell’export nazionale. Oltre alle misure di breve periodo a supporto dei territori e delle industrie più colpite, risulta dunque necessario prendere atto del mutato contesto geoeconomico, mettendo in discussione il modello export-led che ha guidato l’economia europea negli ultimi decenni. Se si vuole impedire il ritorno a una crescita asfittica che rischia di compromettere definitivamente le sorti del progetto d’integrazione, serve un cambio di passo che metta al centro la domanda europea e la crescita dei salari reali, specialmente in Italia.

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