Federmeccanica: due nuove ricerche sulle sfide future della meccanica e meccatronica italiana

 Federmeccanica: due nuove ricerche sulle sfide future della meccanica e meccatronica italiana

Durante la seconda giornata dell’Assemblea Generale 2023 di Federmeccanica dal titolo MECH IN ITALY, sono state presentate due nuove ricerche: la prima, presentata da Daniele Marini (Direttore Scientifico Community Research&Analysis) è la nuova indagine del filone MOL – Monitor on Labor ed è intitolataQuality Working: l’avvento della «qualità nel lavoro» gli italiani e il nuovo senso del lavoro e dell’industria: mutamenti e nuove rappresentazioni; la seconda, a cura di Eleonora Di Maria (Professoressa di Business Management dell’Università di Padova) è stata realizzata dal Lab di Federmeccanica “Liberare l’Ingegno” e si interroga se “Siamo pronti per il futuro? Percorsi e prospettive delle imprese metalmeccaniche/meccatroniche.

Di seguito una sintesi delle due ricerche

QUALITY WORKING: L’AVVENTO DELLA «QUALITÀ NEL LAVORO», GLI ITALIANI E IL NUOVO SENSO DEL LAVORO E DELL’INDUSTRIA: MUTAMENTI E NUOVE RAPPRESENTAZIONI.

L’Italia, precedentemente all’avvento della pandemia, vedeva una quota decisamente marginale di lavoratori operare da remoto (1,2%) e le chiusure obbligate dalla diffusione del Covid-19, ha prefigurato l’utilizzo dello smart working più come una modalità adattiva all’emergenza, piuttosto che strategia per realizzare una nuova organizzazione del lavoro e dell’impresa. Attualmente, la quota di occupati che – con diverse formule – lavora al di fuori dell’ambiente di lavoro ammonta circa al 15-16%. E sono soprattutto concentrati in alcuni comparti del terziario, mentre nel manifatturiero – intuitivamente – è perlopiù ridotta alle funzioni di carattere amministrativo.

Una seconda osservazione riguarda l’applicazione effettiva dello smart working: infatti, più spesso si è trattato di “lavoro da remoto” (remote working) e “telelavoro o lavoro da casa” (working from home), poiché lo smart working prevede la realizzazione in tempi, modalità e luoghi decisi autonomamente dal lavoratore, dove il lavoro avviene per il raggiungimento di obiettivi definiti, più che sulle funzioni.

Quanto è avvenuto nel biennio 2020-2021 ha rappresentato uno spartiacque simbolico, introducendo nuovi codici con i quali le persone interpretano e rappresentano la propria vita. Oggi siamo al cospetto di quality working. Ben inteso: gli aspetti materiali (condizioni, tutele, salario) continuano a essere importanti. Ma, a parità di condizioni, diventano centrali e determinanti altre dimensioni, come le buone relazioni nel luogo di lavoro, le possibilità di prospettive di carriera, l’identificazione e il coinvolgimento nei valori dell’impresa, la formazione e così via. In una parola, gli aspetti «qualitativi» del lavoro.

Guardando all’insieme degli aspetti considerati importanti nella vita degli italiani, al cui interno insiste il lavoro, otteniamo un primo scenario: il 53,8%, dispone sul medesimo piano di importanza le diverse dimensioni (famiglia/sport/tempo libero/impegno sociale/cultura e lavoro); altri due gruppi però, definiscono invece delle priorità nella propria vita: il 29,2% mescolano aspetti di fondo della vita (famiglia, lavoro, salute e cultura) con altri legati al loisir (tempo libero e amici) mentre il 17,0% individua nella religione, nella politica e nell’impegno sociale gli elementi cardine di riferimento. Tuttavia, per le giovani generazioni (18-35 anni), tutti gli aspetti suggeriti – tranne lo sport – hanno un grado di importanza inferiore rispetto a quanto dichiarato dai senior (over 65).

È all’interno di questo quadro che si colloca anche il valore del lavoro. Rimane un elemento di identificazione sociale, anche per le giovani generazioni, sia la sua valenza «espressiva» (40,2%) in quanto dà significato alla propria vita, consente di avere soddisfazioni e raggiungere il successo, sia per una valenza «strumentale» (24,9%), come mezzo per guadagnarsi un salario e come sacrificio inevitabile. Ma, per una parte rilevante (il 32,2% della popolazione tra gli 18-34 anni), il lavoro è sopravanzato da altri valori. Si potrebbe sostenere che il lavoro ha una «centralità marginale» nell’orizzonte simbolico della gioventù odierna. È certamente importante, ma… deve potersi coniugare e relazionare con altri aspetti della vita. Infatti, il 66,9% degli intervistati ritiene che la ricerca di soddisfazioni sul lavoro (insieme ad una diversa organizzazione dello stesso) sia più importante dell’avere un’occupazione stabile e ben retribuita. Ancora una volta, la dimensione quality – come l’aspetto immateriale – del lavoro prevale.

Quest’ultimo aspetto si lega alla questione delle Great Resignation: a distanza di un anno da una precedente rilevazione, la quota di quanti prefigurano l’intenzione di cambiare lavoro prossimamente tende a diminuire: 37,6%, dal 45,1% del 2022. È plausibile supporre che si tratti di un calo dovuto all’aumentata incertezza dell’economia e dai problemi che avversano le famiglie. Ciò che non muta, però, sono le motivazioni che afferiscono – una volta di più – a criteri segnati dalla «qualità»: bilanciamento del lavoro con gli spazi personali, l’avere maggiori possibilità di progredire nella crescita professionale, assieme all’opportunità di mettere a frutto le passioni personali, piuttosto che la flessibilità nell’organizzare gli orari di lavoro.

La ricerca evidenzia la presenza di alcune «dissonanze» che caratterizzano le visioni degli italiani sui temi del lavoro.

La prima riguarda il “luogo” del lavoro: nell’immaginario collettivo esiste una dissociazione fra i termini “industria” e “fabbrica”, la prima connotata in senso positivo, la seconda decisamente meno: un posto dove praticamente nessuno vorrebbe andare a lavorare.

La seconda è l’«ombra oscura» che aleggia sul lavoro in Italia: il 59,2% degli interpellati rilancia un’immagine totalmente negativa degli aspetti che lo tratteggiano. La sfiducia è il sentimento che pervade la visione del lavoro nel nostro paese, al punto che per il 54,4% è giusto andare lontano da casa se si vuole fare il lavoro desiderato. Un lavoro vessato dall’imposizione fiscale: oltre quattro quinti (84,4%) lo ritiene troppo tassato, il 70,9% ha un costo troppo elevato per le imprese.

La terza dissonanza riguarda il cosiddetto “Made in Italy” che per gli economisti è costituito dalle “4A”: Agrifood, Abbigliamento, Arredo e Automotive (fra cui la meccanica). Chiedendo agli italiani quali siano i settori che più lo rappresentano le “4A” diventano “3A” più “1R”, dove le “A” sono rappresentate effettivamente da Agrifood, Abbigliamento, Arredo e la “R” da Ristoranti. L’Automotive e la meccanica svaniscono. Dunque, si pone un tema sicuramente di conoscenza da parte della popolazione del reale peso di un settore produttivo centrale come l’automotive e la meccanica. Ma, per converso, ritorna la questione della capacità delle imprese di questo settore di comunicare adeguatamente il loro ruolo fondamentale nel contribuire al marchio del “Made in Italy”.

Ultimo tema trattato è quello del ruolo della famiglia nell’affrontare due bivi importanti della propria vita come la scelta scolastica e quella lavorativa. Il ruolo preponderante è (stato) svolto per le generazioni più giovani (18-34 anni) dalla madre, sia sul versante scolastico (31,9%) che lavorativo (25,4%). I padri vengono sempre in secondo piano (rispettivamente l’11,4% e il 13,4%). Ma non è sempre stato così. Infatti, all’aumentare delle coorti di età, i ruoli si invertono. Per i senior (oltre 65 anni) erano i padri il riferimento sia per le scelte scolastiche (23,0%, 17,9% le madri), che per quelle lavorative (23,7%, 16,5% le madri).

Inoltre, il 40 e 42% degli intervistati dichiara di aver ricevuto consigli, ma di essere stato lasciato libero di scegliere secondo le proprie aspirazioni e inclinazioni. Il 24-30%, invece, ha avvertito un condizionamento dalla famiglia, a seguire un indirizzo piuttosto che un altro. E il 29-34% circa abbia avuto sentore che tali questioni lasciassero indifferenti i propri genitori.

SIAMO PRONTI PER IL FUTURO? PERCORSI E PROSPETTIVE DELLE IMPRESE METALMECCANICHE.

Federmeccanica ha realizzato, attraverso il Lab “Liberare l’Ingegno”, questo studio con l’obiettivo di indagare la transizione digitale ed ecologica al fine di conoscere lo stato dell’arte delle aziende del settore e di condividere le migliori esperienze sviluppate.

Il focus ha riguardato le PMI metalmeccaniche «best in class», ovvero imprese che si sono distinte per positive dinamiche di performance economico-finanziario nel periodo 2021/2018. Sono state realizzate 20 interviste ai profili imprenditoriali e manageriali nel periodo aprile – agosto 2023. Gli ambiti di approfondimento hanno riguardato gli scenari emergenti per la competitività d’impresa: a) la transizione energetica, b) l’organizzazione del lavoro, c) i fabbisogni professionali, d) l’innovazione.

  1. Un primo elemento che emerge dallo studio riguarda la rilevanza data alla doppia transizione (twin transition) e al suo impatto sulla competitività delle imprese. Accanto alla digitalizzazione che è già ben conosciuta dalle imprese, è importante affrontare la sostenibilità ambientale come driver del cambiamento. Questo aspetto è connesso alla transizione energetica che viene vista come un’evoluzione necessaria che porterà ad una riconversione industriale sul fronte delle competenze, delle tecnologie e della struttura industriale. Viene inoltre anche segnalato che “bisogna avere una grande visione”, l’importanza di avere un piano e un percorso da seguire che venga definito a livello istituzionale per mantenere la competitività dell’Europa nel quadro globale.
  2. Dal punto di vista delle competenze e dei fabbisogni professionali emerge chiarezza in merito alle competenze su cui investire internamente (reskilling) e su quelle invece da assumere (“la necessità di nuove figure professionali a cui l’azienda non è abituata”), con un investimento nello sviluppo delle persone a tutto tondo. Una trasformazione ed ampliamento delle competenze che include sempre più gli ambiti del digitale, ma vi è anche attenzione a figure professionali più «tradizionali» che possono garantire quella personalizzazione e processi di innovazione tipici della metalmeccanica (soprattutto per chi opera nelle nicchie di mercato).
  3. Le sfide competitive maggiormente sentite riguardano il mercato, sempre più dinamico e globale, che richiede una scala sempre maggiore. In questo senso la sfida per le imprese è anche finanziaria, di accesso al credito e di sostegno alla crescita (“sfide che richiedono una certa massa critica”). L’ambito geopolitico non tocca tutte le imprese, ma da segnalare la necessità di guardare ad una competitività globale.
  4. Le imprese intervistate fondano la competitività sull’innovazione continua e sull’interazione con i clienti, ma anche anticipando le tendenze future con investimenti appropriati (“anticipare quello che potrebbe essere il bisogno del cliente”), con un orientamento di medio/lungo termine. Le imprese “best in class” hanno un approccio collaborativo all’innovazione, aprendosi ad altre imprese attraverso partecipazione a cluster o reti di imprese in modo proattivo. Importante il rapporto con l’università (coinvolta in modo spesso sistematico), mentre limitata attenzione viene riconosciuta ai competence center. La trasformazione digitale è realizzata da tutte le imprese in ambito soprattutto di fabbrica 4.0, con un utilizzo pieno degli incentivi per l’innovazione, secondo però una visione strategica (“il bando non è l’obiettivo, noi abbiamo il progetto che è l’obiettivo e poi il bando deve seguire”).

Le interviste a queste imprese hanno fatto emergere specifiche direzioni di sviluppo e priorità di investimento strategico per i prossimi anni.

Foto di Pavel Danilyuk: https://www.pexels.com/it-it/foto/uomo-tazza-tecnologia-tenendo-8439093/

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