Fintech, un volano possibile per Pil, occupazione e inclusione finanziaria (ma ci vuole una piccola spinta)

 Fintech, un volano possibile per Pil, occupazione e inclusione finanziaria (ma ci vuole una piccola spinta)

L’Italia ha un’industria del fintech florida, nata in ritardo rispetto al resto del mondo ma che nel giro di pochi anni ha saputo crescere. Vale in particolare per il settore del business lending che è il più importante in Europa in termini di erogato a dispetto di un ambiente per nulla incentivante, per non dire ostile. E di un venture capital che diversamente dal resto del mondo resta piccolo e fa fatica a raggiungere i peer anche solo europei. Gli attori del fintech italiano sono infatti solide scale-up con sistemi tecnologici proprietari che, grazie anche all’impulso dei lockdown pandemici, sono state in grado di servire una fitta rete di imprese un(der)banked.

Bisognerebbe allora cogliere l’occasione per spingere sull’acceleratore, approfittando di questo momento particolarmente positivo.

Il modello britannico a cui ispirarsi

Il modello da seguire è sicuramente quello del Regno Unito, dove a fine febbraio, 70 CEO fintech hanno pubblicato una lettera aperta di raccomandazioni a governo e regolatori. Invocando una promozione ancora maggiore della concorrenza nei servizi finanziari e un ambiente ancora più aperto a innovazione, attrazione di talenti e investimenti. Tutte raccomandazioni che dovrebbero applicarsi anche all’Italia, dove peraltro il fintech raccoglie un centesimo degli investimenti britannici. E dunque delle cose raccomandate nella lettera ha 100 volte più bisogno.

La lettera arriva a tracciare un bilancio a un anno dal Kalifa Review, il report sul settore commissionato dal “Cancelliere dello Scacchiere” – Chancellor of the Exchequer, ovvero l’antico titolo del ministro del governo britannico con responsabilità di Ministro delle Finanze. Il rapporto ha disegnato una strategia chiara e una tabella di marcia articolata in cinque capitoli: politica e regolamentazionecompetenzeinvestimentimercati internazionaliecosistema nazionale.

Proprio seguendo le richieste del fintech il governo britannico ha fatto diversi passi avanti. Per citarne solo alcuni: la fondazione del Centro per la finanza, l’innovazione e la tecnologia (CFIT) guidato dall’industria, che contribuirà a catalizzare lo sviluppo di soluzioni necessarie a vincere sfide critiche come l’open banking, l’ID digitale e la finanza per le piccole imprese. Mentre il ministero dell’Istruzione ha incontrato i rappresentati di questa industria per capire meglio che professionalità vanno formate per lavorare ne settore e come quest’ultimo utilizza anche strumenti come l’apprendistato. Sul fronte degli investimenti, il governo e le autorità di regolamentazione hanno compiuto progressi nella revisione del regime di quotazione per rendere il mercato più attraente per le società di tutto il mondo, con la creazione di una “golden share” per i fondatori e una riduzione del requisito minimo di flottante. Nella legge di bilancio il Cancelliere ha anche confermato che i crediti d’imposta per la ricerca e lo sviluppo per l’innovazione saranno estesi ai dati e al cloud computing (aumentando gli investimenti in fintech, AI, open banking e SaaS) e ha stanziato 160 milioni di sterline per la British Business Bank per co-investire con i business angel regionali, contribuendo a colmare il deficit di finanziamento che ancora esiste nell’early stage.

Fintech come volano di sviluppo di economia, lavoro e inclusione finanziaria

Lo sviluppo del fintech, in Inghilterra e non solo, può diventare un volano di crescita importante. Si pensi a come possa promuovere la creazione di posti di lavoro e l’occupazione ad alto reddito. Può rendere un paese più competitivo nel contesto internazionale, consentendo a un maggior numero di fintech di aumentare di dimensione e raggiungere una portata globale, guidando la definizione degli standard. Infine, può aiutare i cittadini e le piccole imprese ad accedere a servizi finanziari diversi, migliori e meno costosi, rendendo la finanza più inclusiva, democratica e sostenibile.

Il venture capital globale punta sul fintech: e l’Italia? 

Queste sono anche le ragioni per cui il fintech nel 2021 si è posizionato al centro del radar degli investitori a livello globale. Secondo il report sul VC di CB Insights, il venture capital globale vale 620,8 miliardi di dollari, ed è più che raddoppiato nel 2021, con un quarto trimestre (a 176 miliardi) che ha segnato il record di tutti i tempi. Di queste risorse, ben un dollaro ogni 5 è andato a società fintech, per un totale complessivo di 132 miliardi, o il 21% del mercato. I finanziamenti alle fintech nel 2021 sono aumentati del 169% dai 49 miliardi del 2020. E se non bastasse, un unicorno ogni quattro è nel settore di cui parliamo (34 unicorni sono nati nel quarto trimestre portando il dato complessivo a 235). Infine, le fintech hanno anche la maggior proporzione di early stage in assoluto (il 64% dei finanziamenti totali sono destinati alle fasi iniziali di sviluppo delle start-up), il che indica una crescita ulteriore nell’anno in corso e in quelli a venire.

Tornando ai dati complessivi del venture capital, in Europa il Regno Unito continua a dominare a quota 29 miliardi di dollari, seguito da Germania (17,5 miliardi) e Francia (12,2 miliardi). In tutti i paesi le fintech si sono distinte per essere leader di raccolta, anche in Italia dove, secondo il report di EY Venture Capital Barometer per la prima volta si è superato il miliardo di capitali complessivamente confluiti sulle start-up: 1.243 milioni di euro, +118% rispetto al 2020, al secondo posto solo dopo il foodtech.

L’Italia gioca un altro campionato

Ma i numeri del venture capital italiano ci posizionano anni luce rispetto a economie similari, come abbiamo visto per Francia e Germania. E il dato è ancora più stridente se si restringe lo sguardo non solo al fintech ma al digital lending, dove l’erogato per PMI, secondo le stime di Italia Fintech, continua a crescere a ritmo serrato: nei primi nove mesi del 2021 il valore dei finanziamenti erogati alle PMI attraverso le piattaforme fintech è ammontato a 2,3 miliardi rispetto al 1 miliardo dei primi nove mesi 2020, numeri in forte crescita considerando il dato complessivo di 1,6 miliardi del 2020. In totale sono stati ampiamenti superati i 4 miliardi di euro, una cifra di gran lunga superiore a quanto erogato in Francia, Spagna o Germania. L’Italia è quindi il mercato di spicco nel contesto europeo che vale poco più di 19 miliardi di erogato (il dato di p2p market include anche piattaforme di credito al consumo). E questo a fronte di investimenti in venture capital scarsissimi e di una serie di altri difetti atavici e sedimentati. Su questi difetti si deve agire se si vuole cambiare il sistema. Più e prima che spingere per incentivare con agevolazioni fiscali la creazione di start-up.

Anche in un contesto del genere, non bisogna dimenticare che ci sono delle eccezioni che vanno prese ad esempio virtuoso: Scalapay, leader italiano dei pagamenti digitali, ha recentemente raccolto il maggiore investimento in start-up della storia del Paese: mezzo miliardo di dollari da fondi internazionali come Tencent e Willoughby Capital, con la partecipazione di Tiger Global, Gangwal, Moore Capital, Deimos e Fasanara Capital. In questo modo Scalapay ha acquisito un valore che va ben oltre il miliardo e diventa il terzo unicorno italiano, dopo Yoox e Depop.

Burocrazia, assenza di incentivi e pregiudizi: i freni allo sviluppo del fintech italiano 

Burocrazia. Aprire nuovi business in Italia è più complesso che altrove. Nella classifica della Banca Mondiale sull’easing of doing business, il nostro Paese, che pure sta guadagnando punti, si piazza 58esimo nel mondo e crolla miseramente proprio sui numeri che indicano la fase di “starting a business”. Le cause di un tale posizionamento sono da ricercare nei livelli di burocrazia più alti che nella maggior parte dei paesi europei. Ad esempio, le aziende straniere impiegano un mese per aprire un conto bancario in Italia, ma due settimane in Repubblica Ceca e Ungheria. A seconda del livello di complessità, le aziende che vogliono costituirsi in Italia devono avere a che fare da tre fino a cinque istituzioni diverse, contro le due dell’Austria, o solo una in paesi come il Regno Unito e l’Irlanda. Inoltre, è necessario registrarsi presso tre autorità fiscali, al contrario di una sola come avviene in Spagna. E poi c’è il tema della giustizia lumaca che influisce sulle politiche del personale in maniera decisiva.

Incentivi. Sul fronte incentivi invece l’Italia ha fatto grandissimi passi avanti sia per quanto riguarda le corporate che per le pmi di settori tradizionali che vogliono digitalizzarsi. Con i vari pacchetti Transizione 4.0, la nuova Sabatini, ma anche il credito di imposta sulla formazione o quello specifico per il Sud, tutte le imprese possono acquistare macchinari e software per la transizione 4.0, recuperando in compensazione con F24 in tre anni fino al 100% dell’importo speso. Anche cumulando gli incentivi. Continuano purtroppo a mancare agevolazioni per gli investimenti per la crescita di start-up fintech. In generale le spese in IT sono escluse dagli ammortamenti: se una fintech acquista un immobile lo può ammortizzare e includere nel capitale proprio. Se invece investe nel lavoro di 80 ingegneri o altrettanti programmatori per scrivere righe di codice, quel costo finisce. In pratica ogni start-up tecnologica in Italia ha un valore pari a zero a bilancio.

Uno storytelling nuovo e diverso. Il mercato dell’innovazione nel mondo finanziario ha uno standing elevato nel nostro paese. E segue una tradizione antica di primato tecnologico, che rimanda a Olivetti. Se siamo pionieri in mercati che nascono da zero e riusciamo a raggiungere risultati eccellenti nel contesto descritto caratterizzato da burocrazia aberrante, giustizia lumaca e investimenti rarefatti, dobbiamo comunicarlo in maniera decisa e convinta. Mostrando l’offerta tecnologica eccellente anche ai talenti che in tutt’Europa sono a caccia di posti di lavoro allettanti. L’Hub di Milano va reso noto a Londra, Parigi, Berlino, Barcellona: i giovani ingegneri e i giovani manager di queste capitali europee devono essere consapevoli dell’opportunità di carriera che possono trovare nelle fintech italiane.

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