Fuga dei cervelli. Tra i dottori di ricerca chi va all’estero guadagna il 50% in più

Tra gli altri fattori che determinano disparità di reddito particolarmente rilevanti emerge il peso della dimensione di genere: i dottori di ricerca di sesso maschile hanno retribuzioni maggiori del 19,6% rispetto alle donne, così come si rileva in generale nel mercato del lavoro italiano. Dal punto di vista contrattuale, essere un lavoratore dipendente a tempo indeterminato permette di raggiungere una retribuzione dell’11% superiore rispetto a chi svolge un lavoro su basi autonome. Viceversa i lavoratori dipendenti a tempo determinato hanno una riduzione dei salari del 10% se paragonati agli autonomi. La contrazione è addirittura del 22% laddove la forma contrattuale sia una collaborazione o un lavoro a progetto. Trova inoltre conferma il forte peso dell’esperienza lavorativa, a scapito dell’elevato titolo di studio posseduto: coloro che svolgono il medesimo lavoro da prima del conseguimento del titolo hanno un reddito del 17% superiore.
Gli indirizzi disciplinari che generano retribuzioni più elevate afferiscono alle scienze mediche, farmaceutiche e veterinarie (circa +7% del valore medio). All’opposto si collocano i dottori con studi umanistici e psicosociali (oltre il -16%). I dottori che svolgono professioni mediamente qualificate presentano retribuzioni inferiori sia a coloro che lavorano in professioni tecniche sia soprattutto a quanti lavorano in professioni high-skill (rispettivamente -6% e -20,5%).
La maggior parte dei dottori di ricerca risulta impiegata nel settore pubblico. Tuttavia lavorare nel privato fa aumentare le retribuzioni medie dei dottori di circa 9 punti percentuali.
Complessivamente in termini occupazionali la situazione di questa componente del mercato del lavoro è decisamente positiva. A distanza di circa sei anni dal conseguimento del titolo il tasso di occupazione raggiunge il 92,5% (per chi va all’estero si arriva al 95,4%). Il tasso di disoccupazione è del 2,1%. Il tasso di inattività è del 5,4% (2,6% se all’estero). Vi è una netta prevalenza del lavoro dipendente (65%), con un 47,5% a tempo indeterminato e un 17,6% a tempo determinato. Il 20,6% ha un contratto di collaborazione e il 10,6% è libero professionista. Per i dottori di ricerca che sono emigrati in un altro Stato si evidenzia una maggiore concentrazione in forme contrattuali di natura flessibile: circa il 30% ha un contratto a tempo determinato e il 27% di collaborazione. I dottori che si sono trasferiti all’interno del territorio italiano mostrano invece un più elevato inserimento professionale con contratti permanenti (52%).
Il 65% degli occupati svolge attività di ricerca, in coerenza con il livello di studi conseguito. La percentuale sale all’86% per chi va all’estero. L’88% dei dottori occupati afferma di essere molto o abbastanza soddisfatto del proprio lavoro. Per chi è andato all’estero il valore arriva al 97%.
Infine, l’Indagine evidenzia l’importanza di esperienze di mobilità svolte durante gli studi universitari: chi ha partecipato al programma Erasmus ha un reddito mediamente più alto del 2,4%. È un dato, quest’ultimo, che va a confermare il valore di un programma al quale l’Isfol partecipa direttamente come una delle tre Agenzie nazionali. Proprio in questi giorni e per l’esattezza il 10 aprile a Firenze si terrà l’evento di lancio di Erasmus+.
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