Human Resources Business

Simone Colombo, direttore del personale in outsourcing, partner di YourHR
È sempre stata la sua mission, che lo ha spinto a trasformare lo studio di consulenza del lavoro fondato dal padre in una società di HR management in outsourcing. Simone Colombo (nella foto sopra, ndr), direttore del personale in outsourcing, partner di YourHR, nasce come consulente del lavoro. Iscritto all’albo e membro della commissioni welfare e di certificazione e conciliazione dell’ordine dei consulenti del lavoro, il ruolo canonico del consulente del lavoro che si occupa solo di cedolini, pratiche di assunzione o licenziamento gli però andava stretto. Ha così creato il suo business di gestione e direzione strategica del personale mediante l’ascolto dei bisogni degli imprenditori e di soluzioni per una efficace gestione del personale.
Lei ha scritto: “Quando un rapporto di lavoro finisce”. Come gestire un licenziamento e come si previene. Ci anticipi qualcosa
La fase di licenziamento è sempre un momento critico, che va gestito con molta attenzione sia dal punto di vista formale – contrattuale che dal punto di vista relazionale. Ai miei clienti suggerisco sempre ai di essere il più possibile trasparenti e fornire le motivazioni del licenziamento in modo sincero. E’ importante che ci sia un rapporto di fiducia tra le parti, altrimenti la pratica finisce in lite ed è difficile trovare un punto d’incontro. In tutte le situazioni dove le motivazioni erano coerenti e correttamente argomentate la chiusura è sempre stata indolore.
Il modo migliore per prevenire un licenziamento è operare una buona selezione del personale. Troppo spesso le selezioni vengono fatte di pancia e senza una corretta analisi delle competenze hard e soft del candidato. Anche la comunicazione è fondamentale. Sicuramente una condivisione costante dei valori e degli obiettivi consente all’azienda di mantenere un rapporto chiaro e solido con i collaboratori. I collaboratori devono sentirsi parte del progetto ed avere ruoli definiti. Comunicare anche quello che ci si aspetta o che fanno in modo non corretto è fondamentale così come riconoscere ciò che è stato fatto bene.
Cosa è cambiato con il Jobs Act?
Sul fronte del contenzioso tra impresa e lavoratori si sono semplificate alcune regole. I costi per i licenziamenti si sono ridotti, ma dati recenti ricavati dai centri impiego ci dicono che in realtà non ci sono stati più licenziamenti e che neppure la fine degli sgravi contributivi ha portato ad una maggiore cessazione dei rapporti di lavoro a “tutele crescenti”. I trend occupazionali seguono ancora l’economia reale. Molti licenziamenti sono avvenuti in periodi di forte crisi e chiusure o ristrutturazioni aziendali.
In sintesi il Job Act ha certamente semplificato il contenzioso, ma ha avuto un impatto limitato sull’economia, che continua a seguire le proprie regole di mercato adattandosi alla normativa giuslavoristica, ma senza subirla.
Le nuove logiche di mercato richiedono un cambiamento della visione del lavoro che da dovere sociale deve essere sempre più inteso come percorso di crescita professionale e di competenze. Questa visione è utile e produttiva sia per le aziende che per i lavoratori.
Come giudica il Decreto Dignità del Governo?
Nonostante l’effetto mediatico e politico, il Decreto Dignità non ha molto senso nel mondo del lavoro. Se la riduzione del limite dei contratti a tempo determinato mi trova sostanzialmente d’accordo in quanto dopo 12/24 mesi so se la risorsa è adeguata o meno in azienda, per il resto non penso che aumentare il valore dato al licenziamento delle persone sia la soluzione. Non sono le minacce (con indennità elevatissime) che migliorano il mondo del lavoro. Molte aziende in passato hanno evitato di crescere per non incorrere in sanzioni elevate in caso di licenziamento. Ma un ragionamento del genere non ha senso.
Le aziende dovrebbero già sapere quanto sia costoso sbagliare la scelta delle persone. Questo a prescindere dal decreto. Quando lavoro non decido le assunzioni in base ai rischi o i costi. Quello che mi interessa è capire se le mie aziende sono un buon posto di lavoro per i talenti da attrarre. Il paradigma sta cambiando e sono i candidati che vogliono lavorare per noi e valutano il posto di lavoro l’ideale in quel momento per la propria crescita professionale.
Ci esponga i tre errori più diffusi nella gestione delle Risorse Umane.
1) Mancanza di Involvement: le imprese non considerano i propri dipendenti e collaboratori come elemento essenziale dell’impresa e non li coinvolgono nel suo processo di sviluppo. A ciò si associano anche la mancanza di una comunicazione interna diffusa e strategica, la mancanza di una cultura attenta alla Employee Experience, la mancanza di una cultura volta alla crescita delle persone, al supporto nella gestione del cambiamento e al loro sviluppo continuo.
Tutto questo non consente di avere alti livelli di performance che durano nel tempo.
2) Mancanza di attenzione alla Employee Value Proposition: l’impresa deve essere attenta a recepire (ed anticipare) i bisogni, le aspettative dei collaboratori (rientra, centrale, il tema della comunicazione interna pianificata e strategica) per poter offrire al dipendente le condizioni migliori di esprimersi, sperimentarsi e poter così raggiungere gli obiettivi d’impresa e personali (es. crescita e sviluppo).
3) Welfare realizzato solo per benefici fiscali e non per mettere al centro il dipendente. Le politiche di welfare funzionano nel lungo periodo e soprattutto generano identità nelle aziende solo e soltanto quando sono coerenti con i valori aziendali. I benefici fiscali spariscono o hanno un effetto limitato, ma se per esempio prendiamo aziende come Cucinelli o progetti che ho seguito direttamente, le politiche di welfare hanno rappresentato una caratteristica che ha un ritorno d’immagine importante e che oggi più di ieri i potenziali talenti considerano. Il risultato è che molti cercheranno e si proporranno per lavorare li piuttosto che essere scelti dall’azienda.
Come è cambiata la gestione del personale negli ultimi anni?
Sicuramente anche la gestione del personale sta scoprendo il mondo della digitalizzazione, sia sul fronte della comunicazione che nella gestione dei processi aziendali. La quantità di dati disponibile oggi permette di affinare le valutazioni e migliorare anche i processi decisionali.
Tutto ciò richiede lo sviluppo di nuove competenze e professionalità per evitare di subire il cambiamento nella convinzione che la digitalizzazione rappresenta per l’HR, al tempo stesso, una sfida ma anche una grande opportunità.
Mi piace ripetere una frase: la formula per il progresso tecnologico è data dalla sommatoria di tecnologia e risorse umane impiegate. Senza le risorse umane si tratta solo e soltanto di un upgrade.
Giornalista per diverse Testate nazionali. Docente di “Comunicazione e successo” presso l’Università UniTre di Milano. Formatore e performance coach certificato. Autore di 12 libri pubblicati.
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