I 5 motivi per cui la guerra in Ucraina apre una nuova era per l’economia

 I 5 motivi per cui la guerra in Ucraina apre una nuova era per l’economia

Se fino a poche settimane fa c’erano tutte le condizioni per lasciarsi alle spalle gli ultimi due anni di pandemia, l’invasione dell’Ucraina ha cambiato la prospettiva, non solo per i suoi drammatici risvolti, ma anche in termini geopolitici ed economici. A differenza di quanto avvenuto in occasione di altre crisi, stavolta la cesura con il passato è molto più forte, tanto da aprire una nuova era per l’economia.

Per Prometeia questi sono i
5 motivi per cui la guerra in Ucraina potrebbe aprire una nuova fase per l’economia italiana:

  1. L’inflazione (+5% in Italia nel 2022)taglierà la spesa di famiglie e imprese
  2. Le catene globali di fornitura potrebbero subire nuovi arresti
  3. Le banche centrali cambiano approccio
  4. L’incertezza spaventa i mercati finanziari
  5. Politiche di bilancio orientate adattenuare gli impatti degli aumenti, ma non in grado di far recuperare il rallentamento del Pil

 

  1. L’inflazione (+5% nel 2022) taglierà la spesa di famiglie e imprese

L’inflazione dei beni energetici su base annua è balzata in questi primi mesi dell’anno al 124% per i prezzi alla produzione, al 46% per i prezzi al consumo, con punte al 96% per le tariffe di gas ed energia elettrica per le famiglie. In contemporanea, però, l’aumento dei costi delle imprese si sta scaricando a valle su tutta la filiera dei prezzi: quelli alla produzione dei manufatti hanno raggiunto il 12% e l’inflazione core è salita all’1.8% dallo 0.8 di un anno fa. Prometeia rivede al rialzo la stima per l’inflazione, che salirebbe al 5% quest’anno, un livello non più toccato dagli anni ‘80, per poi scendere all’1.8% in media l’anno prossimo.

Tale fiammata taglierà la spesa di famiglie e imprese, minandone la fiducia e il potere d’acquisto. Gli interventi messi in campo dal governo, benché importanti, non sono al momento sufficienti a compensare tali effetti. La spesa nominale rimarrà nel complesso invariata ma il suo corrispettivo in termini di beni e servizi acquistati sarà per due punti percentuali assorbito dalla maggiore inflazione. Anche per le imprese gli effetti saranno molto differenziati a seconda dell’intensità energetica delle produzioni, ma in media peseranno sia l’aumento dei costi sia il deterioramento delle attese di domanda interna ed estera.

  1. Le catene globali di fornitura potrebbero subire un arresto

Appena l’1.6% delle esportazioni totali italiane va in Russia e lo 0.6% in Ucraina; tuttavia, l’impatto può essere forte per alcuni comparti specifici, quali i macchinari, l’abbigliamento e calzature, i prodotti farmaceutici, e alcuni territori (oltre tre quarti dell’export italiano in Russia proviene da Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto; in alcuni distretti, si pensi al calzaturiero marchigiano, il mercato russo rappresenta una quota importante del fatturato). Altrettanto rilevante potrebbe essere il venire meno dei rifornimenti di alcune materie prime e semilavorati di cui Russia e Ucraina detengono una quota di mercato significativa e che rappresentano importanti input per alcune produzioni meccaniche (auto innanzitutto) e l’industria ceramica ma anche per i fertilizzanti e la filiera agroalimentare. In un mondo interconnesso, con catene del valore complesse, gli effetti sulle economie potrebbero andare al di là di quello che suggeriscono i dati sull’interscambio. Le catene globali di fornitura che, dopo le difficoltà incontrate lo scorso anno, sembravano essersi avviate alla normalizzazione, potrebbero dunque subire un altro arresto, mettendo in seria difficoltà la ripresa della produzione. Regionalizzare gli scambi e ridurre le catene di fornitura per un settore manifatturiero aperto agli scambi come quello italiano, se può avere indubbi vantaggi in situazioni come quelle vissute durante i due anni di pandemia e ora con la guerra, si traduce però di certo in maggiori costi di produzione e minore potere d’acquisto per le famiglie.

  1. Le banche centrali cambiano approccio

La Bce nell’incontro di marzo ha mandato un segnale restrittivo, anticipando la chiusura del programma di acquisti APP. La Fed deve affrontare un’inflazione che a febbraio ha raggiunto quasi l’8% e, con un’economia in forte espansione, le attese dei mercati al momento sono per aumenti complessivi di 200pb entro la fine dell’anno. La stance più restrittiva non può che pesare sull’andamento dell’attività economica, dei mercati finanziari e dei climi di fiducia. Per contro si profila una risposta espansiva della politica di bilancio in Europa e un’ulteriore sospensione delle regole di bilancio europee; inoltre, si potrebbe arrivare a spese comuni per la difesa, per ridurre la dipendenza energetica e per accogliere i profughi ucraini.

Per l’Uem continuiamo a prevedere solo a inizio 2023 il primo rialzo dei tassi di politica monetaria nonostante un’inflazione che a fine anno potrà attestarsi tra il 3.5% e il 4%. Stimiamo, infatti, che gli effetti deflativi dello shock legato all’invasione russa dell’Ucraina segnino una battuta d’arresto per l’area euro, di cui la Bce dovrà tener conto.

La crescita del Pil Uem prevista per quest’anno, 2.2%, sottende infatti una sostanziale stagnazione una volta depurata dall’effetto trascinamento (1.9pp), pur con significative differenze tra i principali Paesi dell’area. Non va sottovalutato il rischio che la pandemia possa ancora frenare la crescita. Il nostro scenario ingloba una crescente incertezza per la guerra e per i più alti prezzi delle materie prime e dell’energia che esercitano effetti deflativi non trascurabili soprattutto nei Paesi più esposti al mercato russo dei beni (Germania e Italia) e finanziario (Austria e Olanda), a causa della minore crescita dei consumi delle famiglie e degli investimenti delle imprese.

  1. L’incertezza spaventa i mercati finanziari

Al momento meno preoccupanti per l’Italia appaiono gli effetti legati ai collegamenti finanziari coi Paesi in guerra. Le relazioni finanziarie, e le relative sanzioni, con la Russia coinvolgono in misura limitata le istituzioni finanziarie italiane, anche se le nostre banche appaiono fra le più presenti su quel mercato. Il sistema bancario europeo è esposto verso la Russia per circa cento miliardi di euro tra crediti e altre attività in valuta estera e valuta locale, pari allo 0.7% del Pil europeo (l’Italia per circa 30 miliardi, pari a circa 1.5% del Pil). L’esposizione verso l’Ucraina è molto più contenuta.

Tuttavia, gli effetti sono amplificati dall’incertezza: le condizioni si sono irrigidite nei mercati finanziari di tutto il mondo, con premi al rischio più elevati che non hanno tardato a essere richiesti anche sul nostro debito sovrano, con spread rispetto al Bund tedesco (Paese che ha peraltro una maggiore esposizione dell’Italia all’economia russa) in aumento. A questo va aggiunto che, in uno scenario in cui il conflitto sia protratto, la Russia potrebbe decidere di fare default sul debito estero.

  1. Le politiche di bilancio orientate a attenuare gli impatti degli aumenti ma non in grado di far recuperare il Pil

La crisi Ucraina ha modificato anche le prospettive per la politica di bilancio, impegnata nel 2022 anche ad attenuarne l’impatto su famiglie e imprese degli aumenti dell’energia e per accogliere i rifugiati dall’Ucraina. Per mitigare gli effetti dei rincari, il governo è già intervenuto e per l’anno in corso le misure deliberate ammontano a oltre 10 miliardi di euro. Dato il perdurare degli alti prezzi energetici, Prometeia ipotizza che tali interventi, al momento relativi solo ai primi due trimestri, saranno replicati anche per la seconda metà dell’anno. Nel complesso, le misure di sostegno inserite nello scenario saranno compatibili con un disavanzo che si attesterebbe al 5.8% del Pil. Per il 2022, inoltre, manteniamo l’ipotesi che l’implementazione del PNRR contribuirà alla crescita del Pil per circa lo 0.4%, come stimato in precedenza.

Nelle stime Prometeia il prodotto interno lordo del nostro Paese per il 2022 segnerà +2.2% (dal 4% di dicembre). Una revisione basata sull’ipotesi che i fattori di traino della crescita non siano venuti meno e riprendano il sopravvento a partire dall’estate, riportando in crescita l’economia italiana, dopo un primo trimestre dell’anno in contrazione. Tale percorso tuttavia rimarrebbe frenato da prezzi dell’energia costantemente più alti e che quindi non recupera, nell’orizzonte di previsione, i livelli che prevedevamo a dicembre, configurando quindi un livello di attività minore.

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