Il bisogno di spiritualità: cosa ci racconta la folla in attesa del Papa

In un’epoca sempre connessa, produttiva, iper-razionale, c’è un’immagine che in questi giorni ha colpito: una piazza gremita, silenziosa, in attesa.

Non per un concerto, per una protesta, per un influencer. Ma per un segno. Per una guida. Per il Papa.

La recente elezione del Pontefice – al di là della fede personale – ci restituisce una fotografia potente: la spiritualità è ancora un bisogno profondo, collettivo, trasversale.

E non è soltanto questione di religione. È la ricerca verso un senso profondo, una direzione, un respiro. Un bisogno che torna a manifestarsi con forza nei momenti di incertezza, che cova anche nella quotidianità di chi lavora, produce, guida imprese.

I segnali? Ci sono, basta saperli leggere.

Si colgono nei giovani che lasciano posti sicuri per inseguire coerenza con bisogni più profondi, nei manager che, oltre alle performance, cercano equilibrio e umanità, nelle imprese che mettono “purpose” al centro del loro messaggio di mercato.

Si colgono nelle parole nuove che affiorano nei contesti professionali: cura, ascolto, visione, fiducia.

Le persone non cercano solo benessere economico: cercano pienezza, realizzazione, significato.

E questo vale anche – e forse soprattutto – nei luoghi di lavoro, dove si consuma gran parte della vita adulta.

La domanda di senso è viva. E non può essere ignorata.

E le PMI?

Le piccole e medie imprese italiane, per loro natura radicate nei territori e legate alle comunità hanno un’occasione straordinaria: diventare luoghi umani e di realizzazione, non solo efficienti e ben organizzati.

Portare spiritualità non significa diventare religiosi.

Significa riconoscere che il lavoro è, prima di tutto, relazione e valore.

Un imprenditore non guida solo una macchina produttiva. Ogni cultura aziendale, ogni decisione organizzativa, ogni gesto quotidiano può rispondere o ignorare questo bisogno profondo di orientamento, appartenenza, identità.

Il Dalai Lama sostiene che la spiritualità è questione di qualità umane: “Il nostro futuro dipende dalla nostra capacità di sviluppare un senso di responsabilità universale. L’etica deve guidare l’economia.” In altri termini, non si può più separare il successo economico dal benessere umano.

Lo aveva intuito anche Satish Kumar, ecologista e filosofo del “pensare lento”, quando ha affermato che economia, ecologia e spiritualità sono inseparabili. Fondatore dello Schumacher College, ha contribuito a formare generazioni di leader capaci di vedere l’azienda come organismo vivente, non come sistema meccanico.

E infine, Václav Havel, eletto presidente della Cecoslovacchia nel 1989, dopo la Rivoluzione di Velluto, e poi primo presidente della Repubblica Ceca, ha sempre sostenuto una visione etica e spirituale nella politica, parlando spesso del ruolo della coscienza, della verità e della responsabilità morale nel guidare i popoli. “La tragedia moderna è la perdita del senso del sacro nella vita pubblica.”

Nel contesto organizzativo, è un invito a recuperare il “perché” prima ancora del “come” e del “quanto”.

Quella folla in attesa del Papa cercava una direzione che avesse radici e profondità.

La stessa cosa che, in fondo, cercano oggi anche i nostri collaboratori.

E forse, anche noi.

La frase su cui riflettere

“Non si può separare l’essere umano dal lavoratore”, Adriano Olivetti, imprenditore italiano.

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