Esistono letteratura e quantità di articoli pressoché sterminate sulle strategie di marketing da una parte, di gestione di un progetto dall’altra.
Lo stesso dicasi per l’assicurazione del controllo qualità dei processi aziendali.
Sarà il caso di soffermarsi su pochi, ma sentiti concetti riguardanti la comunicazione e la cooperazione tra due pilastri di un’impresa, soprattutto se operante nel campo della tecnologia, e vederne l’impatto.
Ai fini di nuove opportunità, i commerciali (detto direttamente e senza alcuna perdita di rispetto) promuovono prodotti che non sono solo quelli disponibili a catalogo, ma stimolano il dibattito con i loro clienti facendo intravedere a questi ultimi la capacità di innovazione, di distinzione dei prodotti che l’impresa può realizzare. E con tale capacità di convinzione che i clienti sono meravigliati e, alla fine, “catturati”.
Fin qui tutto bene, anzi, tanto di cappello di fronte a cotanta intraprendenza e fantasia: sono nuove commesse che, considerando per esempio le PMI, sono vita in queso momento di asfissia nazionale.
Dunque, dov’è il problema? Semplice, il problema c’è allorquando i commerciali ed i tecnici non sono strettamente e continuamente in contatto, non c’è l’osmosi di idee che nella direzione commerciale->tecnico dovrebbe fornire nuovi spunti di ricerca e sviluppo anche sulla base di quanto presente sul mercato, nella direzione opposta dovrebbe fornire lumi sulla fattibilità tecnica e produttiva sui prodotti potenzialmente conformi a tali spunti. E questo dovrebbe ispirarsi al PDCA: plan-do-check-act, ovvero una continua serie di isteresi verso il miglioramento ed il consolidamento concordato di quello che l’impresa vuole promuovere perché sa di poterlo fare, gestire. E queste isteresi costituiscono la tensione anche emotiva per mantenere, se possibile, accrescere le capacità e le competenze dell’impresa in modo virtuoso.
In definitiva, i tecnici ed i commerciali, in primis i loro managers (?) dovrebbero pro-attivamente agire in squadra remando nella stessa direzione, condividendo la stessa visione. Un po’ meno spregiudicati i commerciali, un po’ più spregiudicati i tecnici.
Sarebbe interessante lanciare un sondaggio, tanto per essere di moda: nella vostra impresa/azienda o quel che sia, che tipo di rapporto c’è tra i tecnici ed i commerciali? Viene valutata preventivamente ogni possibile nuova opportunità attraverso uno studio interno di fattibilità? Ne sono stimati costi associati alla produzione, al ciclo di vita del prodotto, al cliente, al paese? Come impattano tali costi sulla formazione del prezzo e delle consegne, e sull’assistenza post-vendita? percentualmente, quante volte tutto questo avviene rispetto alle opportunità/anno? In questo processo, il servizio aziendale di accertamento della qualità, detto alla romana, “che sta affa’”?
Si comprende che tale sondaggio non si limita a far parlare tra loro tecnici e commerciali, ma stimola l’intervento anche delle altre componenti, per esempio gli amministrativi. E, alla fine della storia, il “Management”.
Supponiamo che le risposte ai quesiti precedenti siano tutte negative, a partire dalla prima. Viene da sospettare che il famoso concetto di squadra in realtà è sbandierato come bla, bla nelle presentazioni aziendali verso il mondo esterno, laddove in realtà i managers di un’impresa, specie le PMI, confliggono, non cooperano.
Il rischio? la seguente sequenza: l’impresa non sa mai dire di no a qualunque potenziale opportunità le si prospetti; i tecnici devono affrontare di sana pianta nuovi sviluppi senza alcuna analisi preventiva; l’impresa inizia a spendere per attivare la realizzazione senza alcun piano di controllo dei costi; il prodotto ottenuto rischia di essere affetto da ben più che fisiologica mortalità infantile, rischiando di godere di assai cagionevoie salute lungo il suo ciclo di vita, con aggravio dei costi associati all’assistenza post-vendita. Con buona pace della salute “liquida” dell’impresa stessa e delle sue capacità di sopravvivenza.
Morale della favola: il commerciale promuove con l’argomentazione convincente “plug and play”. Il tecnico ansimante (e anche frustrato) risponde: plug and pray. Una sola lettera fa la differenza, ma che differenza…
Fantasia o realtà?
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