Il concetto di ruolo

Da questa definizione possiamo ricavarne un’altra: l’organizzazione è un sistema di ruoli predisposti per il raggiungimento di fini comuni.
La parola chiave di questa definizione è il concetto di ruolo. Il ruolo è uno schema definito di comportamenti ed attitudini socialmente identificabile e attribuibili a differenti individualità.
Sono cioè i punti di congiunzione fra l’organizzazione e le persone che ne fanno parte. I ruoli possono essere suddivisi fra formali ed informali. I primi sono quelli ufficialmente previsti dall’organizzazione, definiti in modo scritto o in termini di attese ed aspettative da parte degli altri membri. Implicano quindi il contributo del ruolo agli stessi obiettivi dell’organizzazione. I secondi esistono anche se spesso non sono ufficialmente previsti; non sono direttamente correlabili con gli obiettivi, ma ne supportano indirettamente il raggiungimento, nascono per spontanea attitudine individuale e talvolta suppliscono a carenze di non precisa definizione dell’organizzazione formalizzata.
I ruoli formali possono incoraggiare o ostacolare la presenza dei ruoli informali. Tale interazione richiede che l’organizzazione si interessi egualmente di questi due tipi di ruoli. Il problema della progettazione dei ruoli, così come dei compiti e delle mansioni, riveste un’importanza centrale nelle discipline organizzative, e implica il criterio, già ricordato, della divisione del lavoro e della ricerca della specializzazione nell’attività umana.
Le due fondamentali ragioni che da sempre hanno spinto le aggregazioni di persone in queste due direzioni sono:
- l’acquisizione di esperienza ottenibile focalizzandosi su un’attività ristretta e ripetitiva che rappresenta la base del miglioramento;
- l’efficienza che deriva dalla destrezza nell’esecuzione del compito e della riduzione dei tempi morti improduttivi.
Questi due punti sono stati per tanto tempo il cavallo di battaglia di diverse scuole di pensiero e se ne studiarono gli enormi vantaggi di efficienza che si potevano conseguire attraverso la semplificazione e specializzazione dei singoli compiti. Gli obiettivi principali a questo proposito sono l’addestramento in tempi brevi della manodopera e degli impiegati all’esecuzione del lavoro, la scomposizione di un ciclo sempre più complesso in sotto parti di facile attuazione.
La divisione del lavoro, all’insegna della massima produttività con un estrema parcellizzazione dello stesso, se da un lato ha permesso alle nazioni occidentali un veloce ritmo di sviluppo e la diffusione del benessere economico, dall’altro lato porta con sé conseguenze psicologiche, quali la fatica, la monotonia, la noia, la perdita di motivazione, che possono addirittura portare all’inefficienza, anziché all’efficienza. Con l’evoluzione sociale e culturale si tende, pertanto, a porre l’attenzione sui processi sociali ed individuali fra i membri dell’organizzazione.
Per migliorare le condizioni di lavoro, si è passati così al job enlargement (allargamento dei compiti) per evitare la ripetitività specialistica dei compiti, e in seguito al job enrichment (arricchimento dei compiti), per approdare ai moderni gruppi di lavoro autonomi.
Col job rotation (alternanza dei ruoli) e col job enlargement, che del primo è la naturale conseguenza, gli impiegati si alternano a periodi prefissati nello svolgimento di un determinato lavoro, imparando ciascuno come operare nelle varie fasi del processo. A questa rotazione segue “l’allargamento “ momento in cui ciascuno esegue l’intero insieme delle operazioni richieste lavorando secondo una ripartizione “verticale”. In questa impostazione ciascun impiegato è svincolato dal ritmo del lavoro dei colleghi; la non concatenazione sequenziale del lavoro consente di identificare oggettivamente l’impegno quantitativo e qualitativo individuale. Questo tipo di organizzazione del lavoro aumenta la varietà dei compiti eseguiti da ogni addetto, ma non lascia spazio alla libertà di decisione sul come eseguirli e quindi restringe il campo di discrezionalità individuale. Con il job enrichment si portano verso i livelli più bassi responsabilità e decisioni che prima apparivano prerogativa del capo ufficio. Questa impostazione evidenzia le differenti capacità degli addetti in termini di qualità complessiva del lavoro prestato, migliora la soddisfazione individuale e consente lo snellimento del livello gerarchico superiore.
Nei gruppi autonomi di lavoro, il concetto di autonomia comporta la libertà da parte dei componenti il gruppo di assegnarsi i compiti e di decidere le modalità temporali di esecuzione del lavoro. Le dinamiche tipiche di questa tipologia di organizzazione, sono quelle di relazione interpersonale, di controllo reciproco, di solidarietà e di mutua formazione professionale; essa può trovare buona applicazione laddove i compiti sono fortemente interdipendenti in modo reciproco piuttosto che sequenziale.
Strettamente connessa al concetto di ruolo è la cosiddetta catena di comando e il concetto di delega. Vediamoli. La catena di comando indica le relazioni d’autorità e di responsabilità che legano superiori e subordinati nell’intera organizzazione, e va dal presidente-proprietario giù fino all’ultimo lavoratore. In una organizzazione ogni individuo deve dipendere solo dal suo capo diretto e deve rispondere solo a lui. Ciò significa che la catena di comando deve essere strutturata in modo chiaro così che un dipendente riceverà gli ordini assegnati e la delega soltanto da un unico superiore e ne risponderà soltanto a lui. Nelle moderne organizzazioni ciò non sempre è possibile, perché in questi casi l’autorità è riferita alla funzione, che implica la presenza di più superiori.
La delega è il processo che porta i manager ad affidare certe attività ad altre persone, all’interno dell’organizzazione, con l’autorità necessaria ad effettuarle. L’autorità è il diritto di fare qualcosa, o di farla fare a qualcun altro, per il conseguimento degli obiettivi dell’organizzazione. La responsabilità è l’obbligo che si costituisce quando un subordinato accetta la delega d’autorità che il capo gli conferisce. Le ragioni della delega sono molte. Delegando, infatti, i manager possono fare di più che non svolgendo tutti i compiti personalmente. La delega, inoltre, consente loro di concentrare le loro energie sui compiti più vitali, o prioritari, e su ciò che occorre per svolgerli: per esempio la pianificazione di lungo termine, il coordinamento con altre unità, e così via. Allo stesso tempo, la delega consente ai subordinati di crescere e svilupparsi, magari imparando dai loro stessi errori.
Esistono limiti alla capacità di delega dell’autorità dei manager. Le possibilità di delega sono più ampie ai livelli gerarchici più alti, mentre si restringono ai livelli inferiori. Quando i manager ricevono autorità (o acquisiscono potere) ricevono anche l’onere della responsabilità corrispondente, i manager possono delegare la loro autorità, ma non la loro responsabilità e continuano ad essere giudicati secondo i risultati conseguiti da loro stessi o da chi ha ricevuto una delega d’autorità. Detenere l’autorità non è sempre sufficiente a garantire che i subordinati rispondano al manager secondo i suoi desideri. È necessario avere anche il potere. Il potere è la facoltà di influire sugli individui, sui gruppi, sugli eventi e sulle decisioni, ed è connesso strettamente alla leadership. Il potere può venire da molte fonti: le principali sono: potere di premiare: deriva dai premi che il leader è ritenuto in grado di concedere; potere di punire: deriva dalle punizioni che il leader è in grado di infliggere a chi non ne rispetta gli ordini; potere legittimo: deriva dai valori interiorizzati che riconoscono al leader il diritto intrinseco d’avere influenza sui subordinati; potere di controllo sulle informazioni: deriva dal possesso di informazioni o di conoscenze che altri non hanno; potere di referenza: deriva dall’identificazione dei subordinati con il leader o con ciò che il leader rappresenta o simboleggia; potere di competenza: deriva dalla conoscenza e dall’esperienza che il leader ha nel campo dove vuole influire sugli altri.
Non è detto che tutti i manager esercitino tutti i tipi di potere; anzi, ciascun manager trae il suo potere da questa o da quella fonte, fra le molte possibili.
(Vedi anche L’organizzazione dell’azienda, La struttura organizzativa, Diverse tipologie di organizzazione, Meccanismi organizzativi)
Giuseppe Monti
http://progettoinnesto.it
giusmonti@gmail.com
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