Il design thinking si diffonde nelle imprese italiane, un manager su tre lo usa per gestire l’innovazione in azienda

 Il design thinking si diffonde nelle imprese italiane, un manager su tre lo usa per gestire l’innovazione in azienda

Il Design Thinking, l’approccio alternativo all’innovazione che integra capacità analitiche con attitudini creative, si diffonde nelle imprese italiane, crescendo soprattutto in quei settori dove la trasformazione digitale richiede nuove competenze per costruire una customer experience efficace e integrandosi con altri modelli di gestione dell’innovazione. L’analisi condotta su 368 manager responsabili di diverse unità di business aziendali evidenzia come il Design Thinking sia il modello più adottato, utilizzato da quasi un terzo del campione (31,2%), seguito dall’approccio Agile Development (che promuove il continuo sviluppo e miglioramento del progetto lungo le diverse fasi del suo ciclo vitale) che è impiegato da un manager su quattro (25,0%), dall’Open Innovation (che sfrutta spunti di innovazione dall’esterno per accelerare l’innovazione in azienda e condivide con il mercato l’innovazione prodotta internamente, 18,7% del campione) e dal modello Lean Startup (che sviluppa attività e prodotti mirati ad accorciare il ciclo di sviluppo di un prodotto e a determinare rapidamente se il modello di business proposto è funzionale, 15,6%), mentre circa uno su dieci si concentra su altri approcci all’innovazione (9.5%).

I settori che nel 2020 hanno investito maggiormente in progetti basati sul Design Thinking sono energia (13,0% della spesa), manifattura (12,3%) e finanza e assicurazioni (11,8%). Ma è forte anche l’interesse dei comparti retail (10,5%), food & beverage (7,9%), healthcare (6,4%), automotive (4,1%), pubblica amministrazione (2,9%) logistica e trasporti (2,5%) e IT (2,4%). Questi dieci settori coprono quasi il 75% del totale degli investimenti in iniziative di Design Thinking nell’ultimo anno. Il 38,6% della spesa riguarda progetti per la risoluzione di problemi complessi (Creative Problem Solving), in crescita del 5,1% rispetto al 2019, il 24,6% è dedicato alla realizzazione e verifica rapida di prodotti e servizi (Sprint Execution, -2,8%), il 22,6% alle attività pensate per coinvolgere più profondamente i dipendenti nei processi creativi (Creative Confidence, -4%) e il 14,6% si concentra sulla ridefinizione della visione strategica aziendale (Innovation of Meaning, +0,5%).

Sono i risultati della ricerca dell’Osservatorio Design Thinking for Business della School of Management del Politecnico di Milano*, presentata oggi durante il convegno online “Design Thinking: hate or love it? Matches and mismatches with alternative innovation frameworks”.

“Il Design Thinking si sta diffondendo rapidamente nelle imprese italiane, trovando applicazione in una grande varietà di settori economici e di processi, come l’innovazione di prodotto e servizio, le esperienze digitali e la trasformazione organizzativa – afferma Claudio Dell’Era, Direttore dell’Osservatorio Design Thinking for Business -. I manager abituati ad utilizzarlo raramente lo integrano con altri modelli di gestione dell’innovazione, preferendo estenderne l’uso a diverse attività, mentre chi invece adotta prevalentemente altri approcci all’innovazione è più aperto a combinare gli altri modelli con il Design Thinking, sfruttandone la versatilità e le superiori capacità di comprensione e interpretazione dei problemi”.

“Di fronte alla grande mole di informazioni e di possibilità offerte dalle nuove tecnologie, il Design Thinking offre una chiave di lettura dei problemi, una guida che aiuta imprese e consumatori a cogliere ciò che è realmente di valore in un prodotto o servizio, e quindi a orientarsi nelle scelte – afferma Roberto Verganti, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Design Thinking for Business -. L’importanza di questo approccio all’innovazione è ulteriormente cresciuta durante la pandemia, per la sua capacità di affrontare l’incertezza e la complessità analizzando i problemi e il contesto che li comprende da punti di vista innovativi e di riformularli per facilitarne la soluzione”.

“Le imprese hanno bisogno del Design Thinking per catturare il potenziale dell’innovazione tecnologica, trasformarlo in opportunità di business e in prodotti e servizi accessibili alle persone – commenta Francesco Zurlo, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Design Thinking for Business -. L’innovazione non può più essere confinata nel dipartimento ricerca e sviluppo, ma deve essere trasversale a tutte le unità e i processi aziendali. Il Design Thinking è lo strumento per accelerare questa trasformazione che è organizzativa, prima ancora che digitale”.

Il Design Thinking e gli altri approcci all’innovazione – Dal sondaggio condotto dall’Osservatorio su 368 manager italiani riguardo all’adozione dei diversi modelli di gestione dell’innovazione, emergono due gruppi distinti: un primo gruppo che identifica il Design Thinking come framework dominante nello sviluppo del portafoglio di progetti 2020, ed un secondo gruppo che invece predilige modelli alternativi pur facendo uso complementare del Design Thinking stesso.

Nel primo, rappresentato da 187 manager, il Design Thinking viene adottato mediamente nel 42,7% de progetti di innovazione; è seguito dagli approcci Agile Development (21%), Open Innovation (15,7%), Lean Startup (12,5%) e da un insieme di altri modelli (8,2%). Questi manager tendono a specializzarsi nell’uso del Design Thinking e a utilizzarlo come unico approccio all’innovazione, soltanto in qualche caso lo integrano con l’Agile Development per accelerare la tabella di marcia del progetto e raramente sviluppano progetti che al Design Thinking affiancano il modello Lean Startup oppure l’Open Innovation. La spiegazione è che la capillarità raggiunta dal Design Thinking nei processi e nelle attività di queste aziende le spinge a continuare a puntare su questo modello, estendendone l’adozione a sempre nuove iniziative e criticità, piuttosto che cercare altre soluzioni.

Nel secondo gruppo, composto dai restanti 181 direttori di business unit, il Design Thinking ha un ruolo molto meno importante, solo terzo fra i modelli di gestione dell’innovazione più utilizzati (il 19,4% dei manager afferma di usarlo), con solo l’Open Innovation che risulta meno impiegato (18,8%) mentre è preceduto da Agile Development (29,2%) e Lean Startup (21,8%). Un manager su dieci di questo gruppo, infine, utilizza una varietà di altri approcci all’innovazione (10,8%). Anche in questo caso è frequente la preferenza verso uno specifico modello per la gestione di progetti di innovazione, ma è anche frequente l’integrazione del Design Thinking con l’Open Innovation, mentre è meno diffusa la sinergia con l’Agile Development ed è solo occasionale quella con il modello Lean Startup.

Il ruolo delle tecnologie digitali nei progetti di Design Thinking – Le tecnologie digitali come i Big Data Analytics, l’Artificial Intelligence e l’Internet of Things, possono trasformare e potenziare il modo in cui il Design Thinking viene applicato nei progetti di consulenza e di innovazione. Mediamente i progetti di Design Thinking utilizzano meno tecnologie digitali rispetto ai progetti basati su altri approcci all’innovazione. I Big Data sono la tecnologia più impiegata, presente nel 19,3% dei progetti di Design Thinking. Artificial Intelligence e Internet of Things hanno invece una diffusione analoga nei progetti di Design Thinking, rispettivamente 17,3% e 17,0%. Più marginale l’impiego di tecnologie come l’Additive Manufacturing e l’Extended Reality (rispettivamente 9,7% e 8,6%).

“Design Thinking e tecnologie digitali possono beneficiare moltissimo l’uno dalle altre – afferma Stefano Magistretti, Research Platform Development dell’Osservatorio Design Thinking for Business -. La trasformazione digitale non è soltanto un fenomeno tecnologico, ma coinvolge l’intera organizzazione aziendale, potenziando significativamente le diverse fasi dei processi di innovazione e di Design Thinking. Allo stesso tempo, il Design Thinking aiuta i manager a comprendere il potenziale degli strumenti digitali e coglierne tutte le potenzialità di business e di coinvolgimento della forza lavoro e dell’utenza”.

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