Il Native Advertising non è Content Marketing

Nel momento in cui si paga per essere pubblicati, allora non si sta più parlando di Content Marketing, bensì di pubblicità, o Advertising, usando le parole del Regno d’Albione.
Il Content Marketing è utile all’azienda a creare e distribuire contenuti di rilievo, con l’obiettivo di attirare potenziali clienti o fidelizzare quelli esistenti. Per questo solitamente si cerca di realizzare queste attività all’interno di piattaforme proprie, come ad esempio il Corporate Blog (perché aprire un blog aziendale?).
«Il Native Advertising è una forma di advertising online che assume l’aspetto dei contenuti del sito sul quale è ospitata, cercando di generare interesse negli utenti. L’obiettivo è riprodurre l’esperienza utente del contesto in cui è posizionata, sia nell’aspetto che nel contenuto. Al contrario della pubblicità tradizionale che distrae il lettore dal contenuto per comunicare un messaggio di marketing, il native advertising cala completamente la pubblicità all’interno di un contesto senza interrompere l’attività degli utenti, poiché assume le medesime sembianze del contenuto, diventandone parte, amplificandone il significato e catturando l’attenzione del consumatore». Wikipedia
Se l’azienda paga per pubblicare un contenuto di qualità, studiato e scritto per attirare e coinvolgere un’audience precisa, su un magazine autorevole, allora si può parlare di Native Advertising.
Che si tratti di contenuti per il Corporate Blog, di un pubbliredazionale o di Native Advertising, è la qualità del contenuto a fare la differenza. Sul web inoltre, si hanno a disposizione molti tipi di contenuto diversi, a partire da un articolo, passando per le immagini, i video, le infografiche, e arrivando addirittura alle gif animate, utlimamente tornate di moda.
Ecco un esempio eccellente di Native Advertising: “La cultura del lusso in Cina”, scritto da CDNetworks per Il Giornale delle PMI, che ha da poco inaugurato questo nuovo format pubblicitario (scopri di più qui).
Per riassumere, il Native Advertising non influisce sull’esperienza dell’utente, e offre informazioni utili in un formato identico a quello di altri contenuti presenti nel sito. In questo modo i lettori sono molto più coinvolti, rispetto per esempio a un banner pubblicitario.
Ciò significa che a trarre vantaggio dal Native Advertising non sono solo gli inserzionisti, che ottengono più click, ma anche i lettori, che trovano finalmente informazioni utili, piuttosto che contenuti marchetta.
Definito da Going Global UK: “Massimo esperto in strategie di marketing digitale internazionale”.
Tra i 5 maggiori marketing influencer italiani secondo Digitalic. Autore di “Strategie web per i mercati esteri”, Hoepli 2016 e “The Marketing Distinguo: differentiation on three steps”, Amazon 2019.
Ha il deato il Visual Communication Planner, il marketing canvas scaricato da quasi 20.000 aziende e professionisti nel mondo.
L’unico italiano a completare il master MIT Digital Business Strategy sulla Digital Transformation.
Premiato tra le tre Best 2019 Marketing Innovation al DES 2019 di Madrid con il progetto Marketing Distinguo.
Ha già collaborato come docente per Exportiamo Academy, 24ore Business School, Università di Bologna, Università di Trento, Università Internazionale di Roma, Ninja Academy.
È l’unico consulente di BPER Banca per l’Export Digitale.
Fa parte della commissione UNI per la definizione della normativa relativa alla professione dell’Export Manager e del Digital Export Manager.
1 Comment
Ciao Gabriele, come sempre illuminante e chiaro negli articoli. Credo tu abbia con semplicità centrato il punto rispetto a quello che dovrebbe essere l’interesse degli utenti e l’offerta da parte degli editori… Personalmente avendo un blog mi piace molto anche il fatto che ci siano piattaforme che curano anche l’aspetto grafico, ad esempio io utilizzo revenee:io. Io lato publisher vedo dei migliorqmenti nell’engagment nel momento in cui ospito native advertising sul mio sito, oltre ovviamente a delle revenue;
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