Il 2025 si è confermato un anno di svolta per il commercio internazionale. Tensioni geopolitiche, protezionismo e continue oscillazioni dei dazi USA hanno reso indispensabile per le imprese italiane una gestione sempre più strategica dei mercati globali. L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti – insieme alle minacce doganali che pesano sulle strategie commerciali americane – introduce ulteriore incertezza. Il futuro del commercio globale si configura multipolare, sospeso tra nuovi quadri cooperativi e barriere protezionistiche.
L’Europa, pur tra difficoltà, resiste. Secondo Confartigianato, “la Germania, storica locomotiva del continente, rischia il terzo anno consecutivo di recessione, mentre la Francia mostra segnali di critica fragilità”. Nel frattempo, il baricentro economico mondiale continua a spostarsi verso l’Asia e il Nord America, lasciando un’Europa progressivamente indebolita.
In questo scenario di ridefinizione degli equilibri globali, l’Italia sorprende: nel primo semestre del 2024 ha superato il Giappone diventando la quarta potenza mondiale per le esportazioni, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto). È in questo contesto che il Made in Italy dimostra la sua vera forza strategica, soprattutto quando le imprese abbandonano l’individualismo per abbracciare logiche di sistema.
I dati parlano chiaro: nei primi sette mesi del 2025 le esportazioni italiane segnano 384,2 miliardi di euro, con un incremento del +2,9% (+3,1% verso i mercati UE, +2,7% verso i Paesi extra-UE) rispetto all’anno scorso. Anche il saldo è positivo: nel primo semestre il surplus commerciale è stato pari a +30,7 miliardi, e raggiunge i +60 miliardi di euro al netto dell’energia. Fra i settori trainanti ancora ottime le performance di farmaceutica (+37,2%), mezzi di trasporto esclusi autoveicoli (+13,9%) e beni alimentari (+5,3%) e fra i principali mercati di sbocco, nei primi sette mesi del 2025, importanti conferme di Svizzera (+12,8%), Spagna (+12,1%), USA (+10,2%) e Paesi OPEC (+9,6%).
La Lombardia si conferma il cuore pulsante dell’export italiano: secondo i dati Istat, l’export regionale ha chiuso il 2024 con una crescita su base annua dello 0,6%, grazie alla spinta finale dell’anno e ha raggiunto un nuovo massimo storico trimestrale (42,7 miliardi di euro) e annuale (164 miliardi). Per il 2025, le previsioni del Centro Studi di Assolombarda indicano una crescita del PIL della regione pari al +0,6%, in linea con quella nazionale, anche se in leggero ribasso rispetto alle stime iniziali (+0,7%).
All’interno di questo quadro, la manifattura rimane, invece, debole: al danno dell’innalzamento dei dazi, si aggiunge un tasso di cambio sfavorevole per gli esportatori, riflesso della svalutazione del dollaro del 13% rispetto all’euro dall’insediamento di Trump a oggi. Lo scenario instabile, poi, incide sugli investimenti privati, come testimonia la domanda di credito ancora contenuta da parte delle imprese.
La Provincia di Monza e Brianza, con oltre 64.000 imprese attive – di cui 21.480 artigiane e 8.162 manifatturiere – esprime una densità imprenditoriale tra le più elevate d’Italia; sono questi i numeri ufficiali. Non solo, 12.238 di queste imprese sono guidate da donne, 5.523 da giovani under 35 e 151 sono startup innovative, configurando un ecosistema produttivo che sa rinnovarsi senza perdere le proprie radici. Il secondo trimestre 2024 ha registrato un saldo positivo di +461 imprese tra nuove iscrizioni e cessazioni, segno di una vitalità che resiste alle turbolenze economiche globali. Ma la vera forza della Brianza sta nella sua capacità di trasformare la tradizione artigiana in vantaggio competitivo internazionale: dal legno ai metalli, dai tessuti ai macchinari, ogni settore racconta una storia di innovazione che parte dal territorio per arrivare agli showroom di tutto il mondo.
Se da un lato i dati raccontano di un’Italia in grado di resistere e anche sorprendere (e superare persino il Giappone nelle esportazioni), dall’altro non possiamo ignorare le sfide che minacciano la tenuta del sistema: infrastrutture deboli, costi energetici alti, burocrazia che scoraggia la crescita dimensionale e PMI poco digitalizzate e sostenibili.
Le imprese in Italia sono infatti poco più di 5 milioni; le PMI costituiscono il 99% di queste realtà, ovvero circa 4,9 milioni. I dati ISTAT sulla digitalizzazione rivelano però che il 70,2% delle PMI con 10-249 addetti ha raggiunto un livello base di digitalizzazione, ma solo il 26,2% raggiunge un livello “alto”. Nell’uso di intelligenza artificiale, l’adozione è ancora più bassa: circa 8,2% delle imprese con almeno 10 addetti ha utilizzato almeno una delle sette tecnologie di IA analizzate.
Sul fronte sostenibilità, secondo SDA Bocconi, solo il 13% delle PMI europee dichiara di aver intrapreso strategie di sostenibilità “strutturate”, mentre in Italia solo l’11% delle PMI ha un piano di decarbonizzazione formalizzato. Inoltre, dal rapporto CRIF emerge che il 40% delle PMI ha uno score ESG basso o molto basso. Nelle imprese manifatturiere con almeno 10 addetti, oltre il 60% ha realizzato almeno un’azione di sostenibilità ambientale, ma molte di queste non includono piani completi di misurazione delle emissioni di CO₂.
La misura “Transizione digitale delle imprese lombarde” con una dotazione di 34,4 milioni di euro punta a sostenere il processo di trasformazione digitale investendo sulle nuove tecnologie come fattore di produttività e competitività internazionale.
Ecco perché le PMI che sapranno cogliere queste opportunità, integrandole in strategie di sistema, saranno quelle destinate a consolidare e ampliare la presenza sui mercati globali. Il Made in Italy del futuro non sarà solo sinonimo di qualità e bellezza, ma di innovazione sostenibile e intelligenza digitale applicata alla tradizione manifatturiera. La vera sfida sta proprio nel moltiplicare esperienze come quella brianzola, dove territorio, imprese e istituzioni collaborano per trasformare eccellenze locali in successi globali.
Possiamo quindi dire che il successo dell’export italiano non è solo una storia di eccellenza: è un banco di prova. Senza un piano industriale nazionale, capace di rafforzare infrastrutture, sostenere l’innovazione e favorire l’aggregazione delle PMI, l’Italia rischia di celebrare troppo presto una vittoria fragile. In un mondo dove l’Asia e il Nord America dettano i tempi, l’Italia può davvero aspirare a diventare locomotiva d’Europa. Ma per farlo dovrà trasformare i successi episodici in una strategia strutturale. Altrimenti, il sorpasso sul Giappone resterà solo un titolo da prima pagina, non la prova di un cambio di rotta duraturo.
Presidente di Fiera di Monza e Brianza