Italia, sta arrivando il salario minimo?

 Italia, sta arrivando il salario minimo?

La recente proposta di legge presentata lo scorso 4 luglio da Giuseppe Conte ed Elly Shlein propone l’introduzione anche in Italia della soglia salariale minima. Attualmente infatti, tra i 27 paesi dell’Unione Europea solo Italia, Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia non hanno un salario minimo, gli altri 21 invece lo hanno introdotto in misura coerente con il costo della vita e con l’andamento dell’economia del Paese. Ma è davvero possibile attualmente introdurre una misura del genere in Italia? Cosa comporterebbe? Alessandro Raguseo, CEO e Co-Founder di Reverse, azienda internazionale di headhunting e Risorse Umane, ha analizzato lo scenario attuale, evidenziando luci e ombre di questa proposta.

“Sono abbastanza certo che arriveremo anche nel nostro Paese all’introduzione del salario minimo, ma non credo che attualmente ci siano le condizioni perché questo accada nel breve periodo. – Spiega Alessandro Raguseo, CEO e Co-Founder di Reverse La questione infatti non è essere d’accordo o meno sull’introduzione di un salario minimo, dubito che si riesca a trovare qualcuno, in linea teorica, contrario. I temi sono altri: la sostenibilità economica, il cambiamento o adeguamento della contrattazione collettiva, il probabile conseguente depauperamento della rappresentanza sindacale, la diminuzione della tassazione sul lavoro”.

Le problematiche italiane: troppi CCNL, buste paghe complesse e tassazione elevata

La proposta di legge presentata prevede l’introduzione di un salario minimo superiore a 9 euro all’ora, e già questo potrebbe rappresentare un problema nella sua attuazione. In Italia infatti, salvo rari casi, non è prevista una retribuzione oraria, ma la maggior parte dei contratti è impostata su un valore mensile da moltiplicarsi per il numero delle mensilità.

Un altro tema, da non trascurare, è costituito dalla molteplicità dei contratti collettivi nazionali, ciascuno dei quali presenta una diversa modalità di calcolo della retribuzione oraria.

“In Italia abbiamo più di 900 contratti collettivi nazionali e ciascuno di essi presenta un diverso divisore giornaliero, esso stesso figlio di contrattazione – continua Alessandro RaguseoInoltre, ogni contratto presenta un numero differente di giorni di ferie, di ore di permessi e anche di mensilità, senza contare il fatto che ci sono aziende che forniscono diverse forme di welfare ai propri dipendenti: come verrebbe conteggiata questa forma di risparmio e quindi di retribuzione aggiuntiva nei confronti di chi non ha lo stesso beneficio? Ritengo che a queste condizioni l’introduzione di un salario minimo su base oraria non sia ancora una strada percorribile. Sicuramente è utile iniziare a parlarne per avviare un processo di sensibilizzazione, ma per renderlo concreto occorrerebbe prima di tutto intervenire sulla macchina burocratica del lavoro, iniziando dalla diminuzione del numero dei CCNL, dalla semplificazione della busta paga e dalla riduzione del costo del lavoro per le imprese e della tassazione per i dipendenti”.

I rischi di un’introduzione prematura del salario minimo: irrigidimento del mercato del lavoro, costi aggiuntivi per le aziende e aumento dell’inflazione

Introdurre prematuramente la soglia salariale minima potrebbe limitare la flessibilità da parte delle aziende di adeguare i livelli salariali all’andamento del mercato, causando un irrigidimento del mercato del lavoro nazionale e una spinta delle imprese a spostarsi all’estero. Un altro rischio concreto è che le piccole imprese potrebbero faticare ad adattarsi ai costi aggiuntivi e, di conseguenza, potrebbero cercare di ammortizzare l’aumento dei costi riducendo il personale, incrementando formule di contratto alternative o di lavoro sommerso, fino ad arrivare alla conseguenza più drastica, la cessazione dell’attività. Infine, alcuni settori potrebbero venire maggiormente colpiti rispetto ad altri, portando a distorsioni nel mercato del lavoro e nella competitività.

Inoltre, se da un lato potrebbe essere una soluzione per fronteggiare l’inflazione, dall’altro un salario minimo più elevato potrebbe portare all’aumento dei costi per le imprese, che si trasformerebbero in costi aggiuntivi per i consumatori sui prezzi di beni e servizi e quindi a un aumento dell’inflazione.

“In conclusione, ritengo che l’introduzione di un salario minimo sia sicuramente tra gli obiettivi da portare sui tavoli decisionali, ma sono altrettanto convinto che bisogna arrivare alla sua introduzione in modo estremamente ponderato con delle basi di contesto solide – conclude RaguseoOltre alla semplificazione preventiva della burocrazia di cui accennavo prima, sarà importante stabilire un monitoraggio di applicazione, in modo da intervenire ove necessario aiutando le imprese, tramite anche aiuti da parte dello Stato”.

Foto di Kindel Media: https://www.pexels.com/it-it/foto/marketing-scrivania-notebook-ufficio-7054385/

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