Jobs act e licenziamenti: i costi per le aziende

 Jobs act e licenziamenti: i costi per le aziende

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[dropcap]I[/dropcap]l decreto legislativo sul contratto a tutele crescenti, attuativo del Jobs Act, disegna un nuovo sistema sanzionatorio per i licenziamenti con riferimento ai lavoratori neoassunti. Ma in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo cosa cambia in termini di costi per le aziende piccole e grandi?

Lo spirito del decreto legislativo sul contratto a tutele crescenti in attuazione della legge delega, denominata Jobs Act, è proprio quello di modificare la disciplina dei licenziamenti con riferimento alle nuove assunzioni effettuate adottando le tipologie di rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato già esistenti piuttosto che quello di introdurre una ulteriore figura contrattuale.
Come è oramai noto, le nuove regole sono entrate in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del provvedimento e riguardano tutti i lavoratori assunti da quella data in poi (1 marzo 2015).
Da una prima valutazione del testo normativo, risulta evidente che i maggiori benefici riguardano le aziende di medie e grosse dimensioni, che, con la sola eccezione di casi specifici e ben individuati, vedono scomparire quasi completamente lo spettro del reintegro al lavoro del dipendente licenziato.
Un altro aspetto nuovo è costituito dalla diminuzione dell discrezionalità lasciata al giudice nella definizione dell’eventuale indennità risarcitoria in favore del lavoratore.
Infine risulta giusto sottolineare che con l’entrata in vigore del Jobs Act non esiste più la tradizionale differenza tra aziende con più o meno di 15 dipendenti in tema di licenziamenti. La normativa è la medesima per tutti.

L’articolo 3 del decreto in esame (Jobs Act), con riferimento al licenziamento per giustificato motivo oggettivo o soggettivo e per giusta causa, regola le cosiddette “tutele crescenti”, che si concretizzano in un aumento progressivo dell’indennità risarcitoria in capo al datore di lavoro man mano che cresce l’anzianità di servizio del lavoratore dipendente. E’ fissato un limite generale minimo di tre anni che costituisce quindi il presupposto indispensabile perché la tutela possa operare. Il legislatore, in questo modo, amplia la tutela obbligatoria riducendo moltissimo l’ambito di applicazione della tutela reale e la misura delle indennità risarcitorie per le imprese di grandi dimensioni.

Ma vediamo la cosa più in dettaglio.

Tutela obbligatoria (cioè senza reintegro)
In caso di licenziamento (illegittimo) per giustificato motivo oggettivo (o licenziamento economico) o per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa (licenziamento disciplinare), il giudice deve dichiarare estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condannare il datore di lavoro al pagamento di una indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, con un minimo di 4 ed entro un massimo di 24 mensilità a seconda dell’anzianità di servizio del lavoratore.
Rimane dunque esclusa qualsiasi valutazione discrezionale del giudice nell’effettuazione delle operazioni di calcolo.

Tutela reale (con reintegro)
La tutela reale viene mantenuta unicamente con riferimento alle fattispecie di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa (c.d. licenziamento disciplinare) nelle quali sia direttamente dimostrata in giudizio la non sussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, escludendo così ogni valutazione discrezionale del giudice anche in merito alla sproporzione del licenziamento rispetto alla effettiva gravità del fatto contestato.
Ne deriva una sostanziale inversione dell’onere probatorio rispetto alla cosiddetta “giustificatezza” del licenziamento intimato: in questo modo è il lavoratore che dovrebbe dimostrare l’“insussistenza” del fatto materiale contestato.
In questa ipotesi il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro all’immediata reintegra del lavoratore e al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione.
Dalla indennità così determinata deve essere sottratto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative (aliunde perceptum), nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell’art. 4, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 181/2000 (aliunde percipiendi).
In ogni caso, la misura dell’ indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non può essere superiore a 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione.
Al lavoratore è attribuita la facoltà di optare, in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro, per una indennità sostitutiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, non assoggettata a contribuzione previdenziale.
Ai fini del calcolo dell’indennità risarcitoria parametrata all’anzianità di servizio, le frazioni di anno vanno riproporzionate in base ai mesi e le frazioni di mese pari almeno a quindici giorni si computano come mese intero.

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