La distanza digitale nell’approccio ai mercati esteri

 La distanza digitale nell’approccio ai mercati esteri

Spesso sentiamo ripetere quanto il mondo stia diventando sempre più piccolo, grazie alle tecnologie informatiche, alla comunicazione globale e alla possibilità di spostarsi velocemente e a basso costo.

Ciò è valido per la vita di tutti i giorni, ma quando si tratta di business, questo assunto può allora risultare non solo sbagliato, ma persino pericoloso.

Esistono molti modi per scegliere i mercati su cui avviare processi d’internazionalizzazione. Nonostante questo, molte delle nostre PMI continuano a scegliere i Paesi da approcciare sulla base di incontri casuali o passa parola. Spesso questo porta a esaltare l’attrattività di tali mercati, cosa che può condurre a uno spreco di risorse aziendali.

La scelta dei Paesi su cui internazionalizzarsi passa, quindi, dalla ponderazione inevitabile di aspetti importanti come l’insieme dei rischi e dei costi necessari a penetrare un determinato mercato, l’analisi accurata dei competitor che operano sul territorio d’interesse e dalle tempistiche che spesso sono necessarie a mettere in atto la strategia identificata.

Secondo Pankaj Ghemawat, Professore di Strategia Globale alla IESE Business School di Barcellona e alla Stern School of Business di New York, questi rischi e costi sono proprio il risultato delle barriere create dalla distanza.

Da tenere in considerazione sono le differenze tra il contesto culturale dell’impresa e quelle del target di riferimento sul mercato internazionale. Un rapporto che spesso rende difficile l’individuazione dei punti di contatto necessari per stabilire una comunicazione efficace.

Ecco perché Ghemawat continua a parlare di distanza, non solo intesa come la differenza geografica tra l’azienda e il Paese estero, ma anche come l’insieme degli elementi che vanno a comporre il divario culturale, amministrativo, politico ed economico: «A volte le aziende sono così concentrate sulla distanza geografica da perdere di vista gli altri elementi. Un caso di studio che analizzo sempre con i miei studenti è quello di Star TV, che era così entusiasta di abolire la distanza geografica attraverso la televisione, da perdere di vista la distanza culturale. In Asia, infatti, i telespettatori non si sono affatto dimostrati entusiasti di guardare la TV in inglese. Star TV si è inoltre dimenticata della distanza amministrativa, data dal fatto che il governo abbia dato un giro di vite agli ingressi delle emittenti straniere, nonché  della distanza economica, rispetto ai Paesi meno sviluppati dell’Asia, il cui reddito pro-capite è molto basso, e le infrastrutture non sono comparabili a quelle degli Stati Uniti».

Su queste basi si fonda infatti CAGE, il metodo di scelta dei mercati esteri identificato da Ghemawat, uno dei framework più utilizzati per comparare e scegliere i Paesi su cui avviare strategie di internazionalizzazione.

CAGE è l’acronimo delle diverse distanze che lo compongono, il cui risultato è comparabile alla distanza chilometrica:

  • distanza Culturale;
  • distanza Amministrativa;
  • distanza Geografica;
  • distanza Economica.

Tra tutte quelle indicate, la distanza culturale è sicuramente la più importante, nonché la barriera principale da superare per comunicare efficacemente su un mercato estero.

Di fatto però, è possibile introdurre uno strumento che è nato proprio con lo scopo di diminuire queste distanze. Un utilizzo corretto dei canali web, e in particolare degli strumenti Social Media, è utile allo scopo, andando a diminuire questa distanza culturale e avviando così il processo d’internazionalizzazione, senza esborsi onerosi.

«Penso che esistano diversi canali web utili per le aziende nell’internazionalizzazione. Uno di questi è, ad esempio, Alibaba, che offre alle piccole aziende cinesi la possibilità di entrare in contatto con compratori da tutto il mondo».

Lo stesso Ghemawat sottolinea il ruolo dei canali web nell’approccio ai mercati esteri, ricordando che internazionalizzazione non significa solo vendere oltre confine, ma anche ottenere nuove idee, reperire mano d’opera o materie prime all’estero, e quindi in generale ottenere benefici anche in ingresso, e non solo in uscita. E in questo i Social Media possono essere un collante prezioso.

Facebook, Twitter, Linkedin ecc., non vanno però considerati la panacea di tutti i mali. Tanto meno un sostitutivo delle attività tradizionali a supporto dei processi di internazionalizzazione. Così come ogni attività di marketing, i Social Media vanno inseriti all’interno di una strategia più ampia, che parte certamente dalla scelta dei Paesi.

Va quindi sottolineato che le attività di comunicazione attuate attraverso i canali web, sono possibili ed efficaci solamente verso quei Paesi che possono godere di un discreto livello di digitalizzazione. Dal tasso di penetrazione di Internet, all’utilizzo dei Social Media, alla percentuale della popolazione che acquista tramite e-commerce.

Per questo motivo nel mio libro introduco il concetto di distanza digitale, basato sul livello di digitalizzazione di un Paese, come parametro indicativo utile a verificare l’applicabilità delle strategie web.

In Rete è possibile trovare molte statistiche, utili a verificare il livello di digitalizzazione del mercato scelto. Il rapporto di We Are Social, Digital in 2016, è certamente un ottimo punto di partenza per capire se un determinato Paese sia adatto a un approccio tramite i canali di comunicazione web http://wearesocial.com/sg/special-reports/digital-2016

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