L’abolizione del segreto salariale per esperti mette a rischio privacy dipendenti

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Dal 2026 addio al segreto salariale con buona pace di privacy e serenità dell’ambiente lavorativo per aziende che non applicano ancora fasce retributive trasparenti di pari livello. In Italia, infatti, a tutt’oggi il datore di lavoro è ancora tenuto a mantenere la riservatezza sui dati che compaiono nella busta paga del lavoratore. Ma con la nuova direttiva Ue 2023/970, che si applica al settore pubblico e privato, da recepire entro il 7 giugno 2026 i lavoratori potranno richiedere e ricevere per iscritto informazioni sul loro livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore.

E così se da un lato la nuova normativa punta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o mansione, dall’altra – soprattutto in realtà medio-piccole come le PMI italiane, che nel nostro paese rappresentano oltre la quasi totalità del tessuto produttivo italiano – dall’altro mina il diritto alla privacy e la stabilità interna delle organizzazioni aziendali.

“Se le informazioni restassero aggregate per gruppo sufficientemente ampio di lavoratori, come infatti prevede la direttiva, non sussisterebbe alcun tema legato alla privacy, in quanto non si andrebbero a comunicare gli stipendi o i dati individuali, ma solo informazioni non personali trasparenti e comparabili – spiega Nadia Martini dello studio legale Rödl & Partner, una delle principali esperte in materia di privacy in Italia – ma cosa accadrà in quelle aziende, moltissime in Italia ma anche all’estero, dove determinati reparti o funzioni sono composti da pochi dipendenti, due o tre? – si interroga – In tale ipotesi sarà facile per un dipendente risalire allo stipendio del collega, in violazione della normativa privacy, che ricordiamo è ampiamente regolata e tutelata dalle leggi italiane e comunitarie”

Ma questa è solo una delle possibili conseguenze negative a seguito dell’innovazione legislativa. Più preoccupante ancora potrebbe essere il tema della litigiosità interna il cui livello potrebbe innalzarsi proprio a causa di rivendicazioni singole o collettive alla luce di quanto emergerà a seguito della nuova direttiva.

Il rischio è che il 96% delle imprese, in gran parte PMI, resti ai margini del cambiamento, vanificando l’impatto potenziale della norma – commenta Massimo Fiaschi, segretario generale Manageritalia – Servono strumenti proporzionati, scalabili e accessibili anche alle realtà meno strutturate per non perdere l’occasione di risolvere o attenuare, per esempio, il gender pay gap o le ingiustizie che non premiano il meritoQuindi – continua il segretario generale di Manageritalia – serve formazione preventiva e mirata per imprenditori e responsabili delle risorse umane delle PMI. Ma soprattutto massiccio inserimento di presenza e cultura manageriale perché un cambiamento reale ha bisogno di regole giuste ma anche di competenze adeguate per essere applicato. Costruire un sistema davvero inclusivo significa non lasciare indietro la maggioranza delle imprese”.

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