A causa del disallineamento tra formazione e bisogni occupazionali l’Italia ha perso 43,9 miliardi di euro, il 3,4% del PIL dei settori analizzati nel 2023. La cifra, calcolata a partire dai dati del sistema Excelsior di Unioncamere, racchiude i costi della ricerca di personale di difficile reperimento e le tempistiche di inserimento che variano tra 2 e 12 mesi. Inoltre, solo il 36% degli adulti italiani tra i 25 e i 64 anni ha seguito un’attività di formazione o aggiornamento nell’ultimo anno. Nella media europea è quasi uno su due. Lo rileva il nuovo rapporto “Formazione e Lavoro 2025” di Osservatorio Proxima curato da Enzima12, che è stato presentato a Roma il 28 maggio in un evento a cui hanno partecipato, tra gli altri, la Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia Chiara Gribaudo, il senatore Marco Lombardo, il presidente della Commissione Lavoro Walter Rizzetto e il rettore emerito del Politecnico di Torino Guido Saracco.
Guardando al breve periodo il dato migliora: cresce da 9,6% a 11,6% la percentuale di adulti che ha partecipato a formazione nelle quattro settimane precedenti l’indagine Eurostat 2023, il massimo degli ultimi 15 anni. Tuttavia, il problema resta strutturale: scarsa cultura della formazione permanente, difficoltà a conciliare i tempi, ostacoli economici.
«Il mismatch di competenze si manifesta su due fronti: le imprese faticano a trovare i profili richiesti e i lavoratori non hanno accesso a percorsi efficaci per sviluppare le skills necessarie. Questo disallineamento non è solo tecnico ma genera inefficienze strutturali, rallenta l’innovazione ed è un costo industriale elevato per il nostro Paese. Il sistema formativo aziendale in Italia è fortemente polarizzato: sono soprattutto le grandi imprese a formare, più della metà investe nei propri dipendenti mentre le micro non ce la fanno a stare al passo, e appena un’azienda su cinque investe in formazione. Questa asimmetria compromette la competitività del tessuto produttivo e rallenta l’accesso e diffusione di competenze necessarie per affrontare le transizioni in corso», spiega Fabrizio Gallante, Managing Partner di Enzima12.
A conferma di questo divario, nel 2022 le aziende che hanno erogato formazione sono state 726.960 e già nel 2023 il numero complessivo di chi ha organizzato o previsto corsi è sceso a 708.940. La vera frattura è dimensionale: solo il 21,1% delle microimprese forma i propri lavoratori, contro il 54,2% delle grandi aziende.
Parallelamente, anche la trasformazione dei contenuti formativi è netta. Il 41,6% delle imprese forma i propri dipendenti su digitalizzazione (soprattutto cyber-sicurezza, tecnologie 4.0, digital marketing), mentre il 30,3% punta sulla transizione ecologica, investendo in gestione ambientale, rifiuti, riciclo, efficienza energetica.
In aggiunta, nel terzo bando del Fondo Nuove Competenze – che finanzia nelle imprese i percorsi di aggiornamento per i lavoratori durante l’orario di lavoro – l’intelligenza artificiale entra tra le quattro aree strategiche accanto a digitale, green e welfare.
Quanto al finanziamento, nel 2023 il 76,8% delle imprese ha auto-finanziato la formazione ma solo il 15,4% ha usato fondi interprofessionali, che però movimentano oltre 980 milioni di euro l’anno. Le piccole imprese ne beneficiano pochissimo (8,5%), eppure si tratta di uno strumento già pronto e largamente sottoutilizzato.
A questo si aggiunge un divario occupazionale persistente: l’occupazione femminile resta ferma al 56,5%, con una distanza di 19,5 punti percentuali rispetto agli uomini.
Infine, la variabile demografica aggrava il quadro: per ogni 1.400 lavoratori senior in uscita, ne entreranno solo 1.000 giovani entro il 2050. L’età mediana nel Paese è già di 48,4 anni, destinata a salire oltre i 51 nei prossimi 25 anni.
«Con l’intelligenza artificiale possiamo salvare e trasmettere il patrimonio di competenze dei lavoratori esperti, costruendo un ponte tra generazioni e valorizzando il sapere delle imprese. Davanti al silver tsunami, al mismatch e all’inattività femminile, l’Italia rischia di perdere gran parte del suo potenziale produttivo. Occorre riconoscere la formazione continua come diritto, spingere le PMI a usare i fondi disponibili, rilanciare ITS, giovani e donne, e trasformare l’esperienza dei senior in risorse formative attraverso l’IA. Lo 0,30% di contribuzione obbligatoria deve tornare alla sua missione: finanziare percorsi per i lavoratori, non coprire altre voci di bilancio. Serve anche un impegno forte in sede europea per escludere i fondi per la formazione dal regime degli aiuti di Stato: solo così si garantiscono coerenza e impatto reale alle politiche attive» propone Vincenzo Vietri, Co-founder di Enzima12.