Lavoro: la Great Resignation italiana è rinviata

 Lavoro: la Great Resignation italiana è rinviata

Great Resignation? No, grazie. Il 56,2% degli occupati non è propenso a lasciare il proprio lavoro, nella convinzione che non troverebbe un impiego migliore. La percentuale sale al 62,2% tra i 35-64enni e al 63,3% tra gli operai. È vero che nei primi nove mesi del 2021 si registrano 1.362.000 dimissioni volontarie, con un incremento del 29,7% rispetto allo stesso periodo del 2020. Ma proprio nel 2020, quando a causa del Covid il mercato del lavoro si era paralizzato, si era verificato un picco negativo di dimissioni: solo 1.050.000 nei primi tre trimestri, ovvero -18,0% rispetto al 2019. Si conferma però un trend di più lungo periodo di crescita delle dimissioni legato all’aumento della precarietà dei rapporti di lavoro. Tra i lavoratori italiani il pragmatismo vince sulla tentazione della Great Resignation, cioè le dimissioni al buio per cercare un impiego più gratificante o per fare altro. Fa più paura l’idea di ritrovarsi impantanati nella precarietà del mercato del lavoro. Eppure l’82,3% dei lavoratori (l’86,0% tra i giovani, l’88,8% tra gli operai) si dice insoddisfatto della propria occupazione e ritiene di meritare di più. Questi sono alcuni dei risultati del 5° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, realizzato in collaborazione con Eudaimon (www.eudaimon.it), leader nei servizi per il welfare aziendale, con il contributo di Credem, Edison e Michelin.

Retribuzioni che non crescono da troppo tempo. Il 58,1% dei lavoratori ritiene di ricevere una retribuzione non adeguata al lavoro svolto. La percezione è confermata dalle statistiche ufficiali: negli ultimi vent’anni le retribuzioni medie lorde annue nel nostro Paese si sono ridotte del 3,6% in termini reali (al netto dell’inflazione), mentre in Germania sono aumentate del 17,9% e in Francia del 17,5%. Pensando alla propria occupazione, il 68,8% dei lavoratori si sente meno sicuro rispetto a due anni fa (la percentuale sale al 72,0% tra gli operai e al 76,8% tra le donne). Nell’ultimo biennio il 66,7% dei lavoratori (il 71,8% tra i millennial) ha vissuto uno stress aggiuntivo per il lavoro e il 73,8% teme che in futuro dovrà fronteggiare nuove emergenze lavorative, con impatti rilevanti sulla propria vita quotidiana. Il lavoro, insomma, non paga abbastanza, non dà le certezze del passato, è fonte di tensione.

Lo stress aggiuntivo sul lavoro. Per il 51,3% degli occupati il proprio lavoro è molto cambiato durante la pandemia. Il digitale è stato determinante, ma non indolore. Infatti, complessivamente il 58,0% ha riscontrato difficoltà nell’utilizzo dei dispositivi digitali. In particolare, il 55,3% nella partecipazione ai meeting online e il 46,1% con la posta elettronica. Sullo smart working i lavoratori italiani si dividono: il 25,1% non vorrebbe farlo, il 32,9% è soddisfatto e vorrebbe proseguire, il 42,0% opterebbe per una soluzione ibrida. Il tempo di lavoro si dilata: il 39,7% degli occupati afferma di non disporre di tempo libero in modo sufficiente (e la percentuale sale al 45,1% tra gli esecutivi), il 23,0% prevede un ulteriore peggioramento nel futuro.

Il ruolo del welfare aziendale. Come colmare il deficit di motivazione dei lavoratori? Le richieste alle aziende sono chiare: Il 91,2% dei lavoratori vorrebbe retribuzioni più alte, l’86,5% più servizi di welfare aziendale su ambiti come la sanità e l’assistenza per i figli, il 75,2% un maggiore supporto nel rispondere ai bisogni sociali quali la non autosufficienza di un familiare, la previdenza, l’istruzione dei figli. In sintesi: più soldi, più welfare aziendale, aiuto in situazioni di vita difficili. Intanto aumentano le imprese che puntano sugli strumenti del welfare aziendale. Per il 62,5% di un panel di responsabili delle risorse umane di grandi imprese il welfare aziendale è una priorità e il 71,9% si dice pronto ad attivare servizi ad hoc per informare nel merito i lavoratori e rispondere ai loro bisogni. Piani di welfare «su misura», fatti di servizi e supporti personalizzati, disegnati sull’unicità dei bisogni del singolo lavoratore, possono dare un contributo decisivo alla domanda di riconoscimento dei lavoratori, stimolando un diverso rapporto con il lavoro e con l’azienda.

Questi sono i principali risultati del 5° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, realizzato con il supporto di Credem, Edison e Michelin.

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