Le aziende italiane non sfruttano appieno i propri dati

 Le aziende italiane non sfruttano appieno i propri dati

Una nuova ricerca rivela che, anche se oltre la metà dei marchi italiani (52%) raccoglie e attiva i propri dati, solo poco più di un terzo ne sfrutta il potere per ottenere misurazioni avanzate (37%) o per generare predizioni (39%). Lo studio, condotto da Making Science, società di consulenza tecnologica e di marketing digitale specializzata in e-commerce e accelerazione digitale, dimostra che la maggior parte delle aziende italiane sta perdendo l’opportunità di ottenere le informazioni granulari necessarie per ottimizzare le proprie prestazioni di marketing.

In questa ricerca, Making Science ha intervistato 601 decision-maker nel reparto marketing di brand italiani appartenenti a tre settori principali: servizi finanziari, viaggi e vendita al dettaglio – compreso l’e-commerce. L’obiettivo era quello di esplorare le attuali pratiche di gestione dei dati, nonché la preparazione alle normative sulla privacy delle aziende.

Commentando sui risultati dello studio Victor Vassallo, Managing Director di Making Science Italia, ha dichiarato: “Molti brand stanno adottando le giuste misure per raccogliere e archiviare dati di qualità, ed è rassicurante vedere che solo il 6% dei brand non attiva affatto i propri dati. Tuttavia, la maggior parte di loro si ferma prima dell’ultimo step, ovvero l’attivazione dei dati per predire i comportamenti dell’utente che invece permetterebbe loro ottenere molto di più dai propri sforzi di marketing. C’è quindi un grande potenziale per i marchi italiani di sfruttare l’intera gamma di soluzioni disponibili per attivare efficacemente i loro dati”.

I dati sono fondamentali per l’acquisizione e la fidelizzazione dei clienti

Ulteriori risultati di questa ricerca mostrano che, tra i marchi che attivano i propri dati, la maggior parte (55%) li utilizza per acquisire nuovi clienti, e il 46% per coltivare la loro fedeltà.

Raccolta e archiviazione dei dati

Secondo la ricerca, in Italia le piattaforme di customer relationship management (CRM) sono il metodo più diffuso per l’archiviazione dei dati, in particolare nel settore retail, con il 42% delle aziende che utilizza questa soluzione. I data lake e le customer data platform (CDP) sono parimenti utilizzati al 39%, mentre quasi un terzo (31%) archivia i propri dati tramite data management platform (DMP). In generale, la maggior parte dei brand (63%) tende a utilizzare almeno una sola soluzione.

La stragrande maggioranza dei marchi in tutti e tre i settori (87%) raccoglie e archivia dati online, compresi i dati di web analytics e delle campagne, mentre solo il 54% raccoglie dati offline. Il settore dei viaggi è il più propenso a raccogliere dati online, mentre la vendita al dettaglio utilizza meno questa fonte di dati, anche se di poco.

Il commercio al dettaglio rimane indietro

La vendita al dettaglio in Italia mostra un ritardo rispetto ai servizi finanziari e al settore viaggi nell’attuazione delle pratiche relative ai dati. I marchi retail sono meno propensi a convalidare la qualità dei propri dati, con il 7% che dichiara di non farlo – in media il doppio rispetto alle controparti. Inoltre, i retailer mostrano, anche se leggermente, meno probabilità di misurare i propri dati. Quando i dati vengono misurati, quasi la metà (45%) lo fa in silos.

Anche per quanto riguarda l’adozione di strumenti avanzati, come l’intelligenza artificiale e l’automazione, il settore non è alla pari con gli altri. Il 14% degli intervistati ha dichiarato di non utilizzare in alcun modo il machine learning – il doppio rispetto ai servizi finanziari e viaggi (7%) – mentre il 13% non investe nell’automazione per la gestione dei dati, rispetto al 7% del settore finanziario e al 10% del settore travel.

L’incertezza sulle norme sulla privacy è ancora presente

Oltre un marchio su dieci (12%) non è ancora sicuro dell’impatto del GDPR sulla propria azienda. Un altro 3% ha dichiarato di essere a conoscenza delle normative ma di aver scelto di ignorarle, mentre un altro 3% ha affermato di non averne sentito parlare.

Tra coloro che si sono attivati per comprendere e adattarsi alle normative, il 36% si affida a servizi esterni per conformarsi, mentre il 33% ha portato le competenze in materia di privacy all’interno dell’azienda. In particolare, i servizi finanziari sono i più propensi a utilizzare risorse interne (39%), mentre i marchi di viaggi preferiscono esperti esterni (37%).

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