Le economie dei territori tra attività sospese e ipotesi di ripartenza: il punto della situazione

 Le economie dei territori tra attività sospese e ipotesi di ripartenza: il punto della situazione

Se al momento sono tanti gli interrogativi che riguardano la fase 2 e, in particolare, una sua modulazione differente da regione a regione, i dati recentemente diffusi da Istat consentono di fare un primo punto su come la sospensione delle attività “non essenziali”, stabilita durante la fase 1, si rifletta sul territorio italiano [1].

Nel complesso sono Marche, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Veneto le aree più colpite, ossia quelle in cui il valore aggiunto delle attività sospese pesa di più sull’economia regionale. Marche e Friuli-Venezia Giulia sono penalizzate soprattutto dal lato dell’industria, che nelle due regioni vede un’incidenza delle attività sospese prossima al 70%, a seguito di una forte specializzazione in comparti non essenziali (moda, mobili, cantieristica navale). In Emilia-Romagna e Veneto, invece, la sospensione delle attività impatta in maniera significativa sia nell’industria che nei servizi. All’estremo opposto, le attività sospese incidono meno in Calabria, Sicilia e Lazio, caratterizzate da un peso più significativo di comparti essenziali (l’agroalimentare in Calabria e Sicilia, la farmaceutica nel Lazio, le public utilities in tutte e tre).

A colpo d’occhio la mappa regionale ci restituisce un quadro più penalizzante per il Nord che per il Sud. Tale considerazione resta valida anche scendendo al dettaglio provinciale, che tuttavia permette di cogliere alcune specificità territoriali. Tra le province del Sud, ad esempio, sono maggiormente colpite quelle legate all’automotive (Chieti, Potenza, Avellino), che presentano anche più stretti legami di filiera con l’area settentrionale del Paese, oppure i territori specializzati in settori tradizionali “non essenziali” (come la moda a Teramo e Barletta).

Sono tuttavia necessari alcuni caveat.

In primo luogo l’analisi si concentra solo sull’offerta. Alcune attività, soprattutto dei servizi, pur non essendo state sospese, hanno però subito forti cali di domanda (si pensi alle strutture alberghiere o agli aeroporti) che si riflettono in modo negativo sul sistema locale, dando luogo a perdite difficilmente recuperabili anche nella fase di ripartenza.

In secondo luogo il peso delle attività sospese sull’economia locale offre una valutazione delle difficoltà che gravano sui territori, ma non necessariamente dice qualcosa sulla loro capacità di recupero: non è affatto scontato che per le aree relativamente meno colpite la ripresa sia più agevole. Al contrario, semmai, la storia dei divari territoriali italiani ci ricorda come il Mezzogiorno, rispetto al Nord, faccia più fatica ad uscire da una crisi, anche quando ne è coinvolto relativamente meno del resto del Paese. Il precedente più vicino in ordine di tempo, il biennio 2008-2009, infatti, ha visto una caduta del Pil più ampia al Nord e più modesta al Mezzogiorno. Nei due anni seguenti, tuttavia, le regioni settentrionali hanno registrato un recupero, mentre l’economia del Mezzogiorno ha continuato a ristagnare.

Per i prossimi anni è dunque più probabile un recupero più rapido al Nord, che potrà fare leva su un sistema produttivo relativamente più forte ed internazionalizzato e migliori condizioni economico-sociali delle famiglie.

[1] Istat, Dati comunali su Imprese, addetti e risultati economici delle imprese incluse in settori “attivi” e “sospesi” secondo i decreti governativi approvati a marzo per l’emergenza coronavirus, 10 aprile 2020. L’analisi si riferisce alle unità locali delle imprese italiane attive nell’anno 2017 e comprende i settori dell’industria in senso stretto e una parte del terziario di mercato, mentre sono esclusi l’agricoltura, il credito e assicurazioni, la pubblica amministrazione, parti importanti dei servizi personali.

Fonte: Prometeia, Market Insights Outlook

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