L’importanza del capitale intellettuale

La prima e la più importante sembra essere l’esigenza di raggiungere, mantenere, alimentare la consapevolezza e la gestione delle proprie risorse interne. Questa esigenza, unitamente alla disponibilità al cambio oculato di strategie e tattiche, ci sembra condizione imprescindibile per garantire la vita di un’impresa.
Purtroppo, è diffusa soprattutto nella piccola e media imprenditoria la convinzione che tra le risorse disponibili non vi sia o abbia peso trascurabile, quella che in realtà è tra le fondamentali: il capitale intellettuale. Come ormai noto dalla rete e non solo, il capitale intellettuale è una risorsa intangibile, definita in genere come somma di:
- brevetti;
- competenze;
- procedimenti;
- tecnologie;
- informazioni strutturate riguardanti clienti e fornitori;
- elaborazione di informazioni condivise all’interno;
- esperienze.
Risorsa intangibile, si è detto: fosse questa intangibilità è il primo motivo per cui essa non è considerata o correttamente valutata? Rimangono, nel mondo delle pmi, la sola visione imprenditoriale, la conduzione a carattere famigliare, la congrua capitalizzazione (in realtà sotto-capitalizzazione) le risorse intangibili principali? Non sarà il caso di procedere ad un sostanziale ripensamento a livello culturale ed educativo inteso nel senso anglo-sassone del termine, che consenta di acquisire e metabolizzare il capitale intellettuale non più, a questo punto, come nuova frontiera, ma come porta di ingresso ad un normale modo di procedere, di operare, di vivere? Ma mentre il dipendente è portato a guardare con favore a questa iniziativa, il management evidentemente ha più di una ritrosia ad accettare questo cambio, perché lo vede come una disciplina da osservare, una sorta di contratto da onorare.
A tale scopo, richiamiamo l’attenzione su due strutture cardine del capitale intellettuale immediatamente riconducibili ad uno o più degli addendi precedenti.
La prima è l’istituzione, la capacità di azione effettiva e continua data da un adeguato Controllo di Qualità aziendale operante ad ogni livello, nessuno escluso: in primis e senza alcuna deroga, il management e l’imprenditore. Occorre dimenticarsi le recite di parti in commedia tenute più o meno periodicamente per acquisire o confermare la ISO-9001: in quel contesto la qualità è considerata unicamente come voce di spesa (non a caso l’organico dedicato allo scopo è in genere assai ridotto e “reietto”). In realtà occorre convincersi definitivamente che il Controllo della Qualità è un continuo investimento, investimento che produce valore, valore dato da un prodotto/servizio ben pensato/progettato, ben realizzato, ben supportato: il brand. Il Controllo della Qualità deve essere parte della vision di una realtà aziendale, non una costrizione da cui poter scapolare ogni volta che si può. Ed è questa competenza, costruita nel tempo, che diventa intrinsecamente struttura portante del capitale intellettuale, una struttura dinamica condivisa da ogni individuo, attore competente e responsabile, all’interno dell’azienda. Questa competenza risulta di ausilio anche nella condotta strategica ed operativa dell’azienda. E costituisce il filtro naturale di almeno buona parte delle inefficienze aziendali, attraverso l’arci-nota macchina PDCA, macchina correttrice di errori in ogni ciclo di prodotto e servizio, macchina perfezionatrice della curva di apprendimento relativo all’intero periodo di vita del prodotto. Auto-correzione di errori in itinere, apprendimento: non sono due riduzioni di costi interni?
Ma il Controllo di Qualità non basta senza competenze, esperienza, condivisione. Di seguito un fatto realmente accaduto: un Sales Engineer aveva eseguito una valutazione preventiva di carattere tecnico ed economico di fattibilità per una gara indetta all’estero. Sulla base della sua conoscenza, competenza, esperienza pluri-decennale all’interno dell’azienda, produsse e condivise con il management un report ove si suggeriva di non partecipare (perché non è detto che alle opportunità si debba sempre dire di sì) evitando ben noti spese e travagli di preparazione documentale. A fronte di ciò, ci si sarebbe dovuto aspettare un confronto con gli stakeholders aziendali da cui sarebbe dovuto sortire uno dei due responsi mutuamente escludentisi: si dimostrava e si concordava che l’analisi eseguita non includeva variabili o considerazioni che suggerivano di partecipare alla gara e sulle quali essere aggiornati o informati, oppure che effettivamente si concordava sulla conclusione tratta. Il confronto non avvenne, si decise – ad insaputa del Sales Engineer – di partecipare coinvolgendo 3 (tre) dirigenti per 2 (due) mesi con aggiunta di servizi interni accessori e sostenendo una trasferta di una settimana per avere ulteriori informazioni. Tale processo fu infruttifero proprio per le ragioni addotte dal Sales Engineer in sede di analisi, e si decise a quel punto di non partecipare. Dunque costi sostenuti dall’azienda che, se ci fosse stato un dibattito interno, potevano essere evitati liberando risorse per es. per la ricerca o gli acquisti, o altro. Dunque capacità ed esperienza condivise dal singolo, controllate e migliorate da dibattito interno con altri stakeholders. Un classico e costoso, tra i tanti, casi di scuola della non percezione del capitale intellettuale in quanto tale.
Se solo ed almeno a livello di pmi fossero tutti meno supponenti, meno frettolosi, meno impulsivi e fossero umili, riflessivi, propulsivi…
1 Comment
Un pizzico di (amara) ironia sulla gestione dell’ISO 9001 da parte di molte aziende e un esempio del “nemo propheta in patria” … che dire? Troppo “vero” per poterne ridere. Per fortuna qualche eccezione c’è … quali sono? Le aziende che vanno bene! Di sicuro hanno personale motivato e che “sente il dovere” di dare il meglio di sè all’azienda.
Devi accedere per postare un commento.