Made in Italy: con i dazi impennata del ‘fake in Italy’, che già oggi costa oltre 120 miliardi all’anno

Ieri è stata la ‘Giornata del Made in Italy’, occasione di celebrazione ma anche di preoccupazione, soprattutto per la filiera dell’agroalimentare. È infatti, secondo gli esperti, ipotizzabile che, se applicato, il regime doganale annunciato da Trump sul made in Italy il fenomeno dell’italian sounding, ovvero quello dei prodotti ‘tarocchi’ made in Italy’ – anche detto fake in Italy’ – e che oggi determina per l’economia italiana un danno complessivo di oltre 120 miliardi di euro all’anno (dati Coldiretti) subirà un ulteriore impennata.

Infatti i dazi trumpiani, se applicati ad una filiera, quella dell’export agroalimentare made in Italy che negli USA solo nel 2024 cuba 7,8 miliardi di dollari (+ 17% rispetto all’anno precedente) rischiano di accrescere ancor di più questo fenomeno*.

Gli annunciati dazi al momento sospesi, sempre secondo le stime Coldiretti, comporterebbero per i consumatori americani un maggior costo di 1,6 miliardi di euro sui prodotti enogastronomici italiani: un aumento probabilmente non sostenibile per molti, scoraggiante per altri, soprattutto in virtù di prodotti ‘simili’ a prezzi significativamente inferiori.

Il che – riflette Fabio Zonta, Chief Procurement Officer di fama internazionale, esperto italiano riconosciuto a livello globale in materia di mercati internazionali, approvvigionamenti e supply chain (oggi presso Raxio Group, azienda multinazionale impegnata nella digitalizzazione del continente africano – ndr), nonché autore del libro “Procurement Rievolution” (Franco Angeli) – darebbe una forte spinta all’aumento al ‘tarocco’ dei prodotti made in Italy, in un mercato, quello a stelle e strisce, che peraltro è già saldamente in testa alla classifica dei maggiori ‘taroccatori’ con una produzione di finto made in Italy che supera i 40 miliardi di dollari”*.

A conseguenza dei maggiori prezzi di vendita dovuti ai dazi sui prodotti agroalimentari italiani si potrebbe anche figurare una generale diminuzione del valore complessivo degli acquisti di prodotti italiani, laddove la congiuntura sfavorevole andrebbe a incidere al ribasso sui comportamenti di acquisto dei consumatori americani”. Ed in tale contesto anche le azioni legali volte a ristabilire l’equità sul tema potrebbero complicarsi o comunque dilatarsi in tempi così lunghi da non essere sostenibili per le PMI italiane.

Il ‘parmesan’ azzoppa il principale asset italiano: il made in Italy

Oltre a ciò, non meno grave, è il cosiddetto danno reputazionale “una crescente immissione di prodotti che si presentano fraudolentemente come italiani, peraltro in una condizione di maggiori difficoltà nel perseguire i ‘taroccatori’, va a danneggiare l’enorme lavoro fatto negli anni precedenti dalle filiere DOP, IGP – spiega Davide Ciliberti esperto del gruppo di comunicazione Purple & Noise –  e lo stesso tricolore, laddove il consumatore estero certamente poco esperto in materia di prodotti tipici italiani sarà disorientato e semmai incline comunque verso una scelta di risparmio nell’acquisto, preferendo così il parmesan al nostro Parmigiano. Un danno sì d’immagine – riflette lo spin doctor – ma soprattutto patrimoniale che va a penalizzare uno degli asset più importanti del nostro Paese: la reputazione circa la qualità e l’eccellenza italiana nell’eno-food”.

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