Il cuore produttivo dell’Italia, il suo sistema manifatturiero, si trova di fronte a una sfida epocale che ne deciderà le sorti nei prossimi decenni. È questa la fotografia scattata dall’analisi “Manifattura in trasformazione: rimarrà ancora competitiva?” pubblicata da Confindustria. Il messaggio è chiaro: il nostro Paese possiede ancora un patrimonio di competitività, ma questo non è più un dato acquisito. Senza un’accelerazione decisa nella doppia transizione, ecologica e digitale, il rischio di un lento declino è concreto.
I pilastri della competitività e le minacce all’orizzonte
Lo studio di Confindustria non parte da zero. L’Italia vanta un settore manifatturiero robusto, caratterizzato da una specializzazione flessibile in nicchie di alta gamma, un dinamismo delle piccole e medie imprese e una forte integrazione nelle catene del valore globali, specialmente in Europa. Questi sono i pilastri che hanno garantito resilienza nel passato.
Tuttavia, questi stessi punti di forza sono oggi sotto pressione. La concorrenza internazionale si fa sempre più agguerrita, non solo dalle economie tradizionali ma anche da nuovi attori globali. A questo si aggiungono i ritardi strutturali dell’Italia in aree cruciali: il gap in ricerca e sviluppo, la lentezza nella diffusione delle tecnologie 4.0 e, non ultima, la complessa transizione verso un’economia a impatto climatico zero. Quest’ultima, in particolare, rappresenta sia un’imperativa necessità sia un costo significativo per le imprese, soprattutto per quelle energy-intensive.
La ricetta per il futuro: investimenti, competenze e politiche abilitanti
La relazione non si limita a delineare i problemi, ma propone una roadmap dettagliata per mantenere e riconquistare competitività. La parola d’ordine è trasformazione, guidata da tre assi principali:
Innovazione e Investimenti: È indispensabile un balzo in avanti negli investimenti in tecnologie digitali (IA, cloud computing, big data) e in processi a basse emissioni di carbonio. La modernizzazione degli asset produttivi non è più rimandabile.
Competenze e Capitale Umano: Il sistema Paese deve colmare il mismatch tra le skill richieste dalle nuove fabbriche e quelle offerte dal mercato del lavoro. Servono percorsi di formazione e riqualificazione (“upskilling” e “reskilling”) all’altezza della doppia transizione.
Infrastrutture e Politiche Pubbliche: Confindustria sottolinea con forza il ruolo abilitante della politica. Sono necessari interventi per potenziare le infrastrutture fisiche (dalla logistica alla banda ultralarga) e quelle immateriali, come una burocrazia efficiente. Le politiche industriali, a livello nazionale ed europeo, devono sostenere le imprese in questo cammino, accompagnandole senza creare ostacoli.
Una sfida sistemica per tutto il paese
La conclusione dell’analisi è netta: la trasformazione della manifattura italiana non è un’opzione, ma una condizione essenziale per la sua sopravvivenza e prosperità. Non si tratta di un percorso che le imprese possono intraprendere da sole. È una sfida sistemica che chiama in causa l’intero ecosistema nazionale: istituzioni, università, centri di ricerca e parti sociali.
Il futuro del “Made in Italy” e del suo contributo alla crescita e all’occupazione si gioca quindi sulla capacità di fare sistema, di investire con lungimiranza e di abbracciare il cambiamento con coraggio. La finestra per agire è ancora aperta, ma il tempo a disposizione non è infinito.
