Non è un Paese per (fare) figli. Qual è il ruolo dei brand e cosa pensano i consumatori?

 Non è un Paese per (fare) figli. Qual è il ruolo dei brand e cosa pensano i consumatori?

Che l’Italia non sia un Paese per figli non è una novità e non mancano le statistiche che lo confermano. L’Istat, per esempio, ha stimato che relativamente al 2021 la natalità del Belpaese abbia sfiorato i minimi storici, con un calo dell’1,3% rispetto al 2020 e poco più di 399 mila nascite.

Fenomeno, quello della scarsa natalità, indissolubilmente legato a questioni come la povertà, l’insicurezza economica e l’instabilità sociale. Sempre Istat, infatti, registra un livello medio di povertà familiare del 7,5% (2021), che sale all’11,6% in famiglie di quattro persone e al 22,6% di cinque. Si aggiunge a questo il costo del mantenimento della prole, che in Italia è pari a 175 mila euro fino a 18 anni, con i giovani che accedono al mondo del lavoro sempre più tardi. La previsione è che, nei prossimi 10 anni, la popolazione italiana calerà di oltre un milione di persone, con le future nascite che non saranno sufficienti a colmare il gap dei decessi.

“Saranno svariati gli ambiti che subiranno le conseguenze di questa triste tendenza, dalla contrazione del lavoro alla tenuta del sistema previdenziale, ed è per questo che certe tematiche accendono spesso i dibattiti della politica, come quelli in vista del 25 settembre – commenta Gaetano De Marco papà ed Executive Strategy Director di Caffeina -. Nella nostra quotidianità abbiamo a che fare ogni giorno con centinaia di brand diversi, che si rivolgono anche alle famiglie, e questo ci ha permesso di comprendere come sia fondamentale un impegno in questo senso non solo da parte delle istituzioni, ma anche di tutte le aziende che devono scendere in campo e dare il proprio contributo in quanto parte del sistema”.

La survey di Caffeina sulla propria community di neogenitori o futuri tali. Brand fanalino di coda

Caffeina, la Digital Native Agency fondata nel 2012 da Tiziano Tassi, Henry Sichel e Antonio Marella, ha incaricato il suo team R&I di effettuare un sondaggio su 250 neogenitori o futuri tali della propria community in merito al sentiment di questi rispetto ai brand e al loro sostegno alle famiglie. È emerso che, seppur governo ed enti pubblici siano considerati i principali responsabili del sostegno alle famiglie, l’aiuto maggiore deriva dalle famiglie d’origine, mentre seguono il datore di lavoro (terzo posto), la rete di amicizie e, solo in ultima posizione, i brand.

Aspettative maggiori relative alla sfera economica, ma anche inclusività, sostenibilità e qualità dei prodotti

Oltre la metà dei rispondenti, infatti, circa il 53%, si aspetta dai brand un aiuto in tal senso, declinabile in diverse attività più o meno concrete: come prevedibile, il sondaggio registra i desiderata maggiori legati alla sfera economica (sconti e promozioni dedicate, 34%, omaggi e gadget, 11%, e un generale contenimento dei prezzi, 7%), ma non mancano temi che ricadono in una sfera più valoriale e di supporto alla genitorialità a 360 gradi.

Per esempio, maggiore qualità e prodotti più adatti alle esigenze dei bambini (4%), servizi e iniziative dedicate ai genitori (3%), attività di CSR (3%), corsi, consigli e attività educative (3%), sostenibilità e attenzione al pianeta (1,3%) e una comunicazione più sensibilizzante e inclusiva (1,3%).

Guadagnano spazio quei brand percepiti vicini alla genitorialità, che impiegano modalità e touchpoint nuovi e che sono in grado di creare ecosistemi complessi e di valore intorno al prodotto. Pampers, ad esempio, è apprezzato per la sua raccolta punti, attorno alla quale si è creata una vera e propria community di genitori, Philips-Avent per l’utilità delle sue app dedicate a gravidanza e svezzamento, Aptamil per i podcast rivolti alle future mamme.

Ma non sono soltanto i brand direttamente legati all’infanzia ad essere riconosciuti come alleati dei genitori: Amazon è citato dagli intervistati per la velocità di consegna e l’offerta di intrattenimento, Carrefour ed Esselunga per la possibilità di ricevere la spesa a domicilio e Nestlé per le attività di welfare aziendale dedicate ai genitori.

L’ambizione di ogni brand è di andare oltre l’insita dimensione commerciale: i brand sono chiamati a essere anche istituzioni, punti di riferimento economico, culturale, sociale ed etico. Un‘ambizione che si realizza se i brand sposano e investono in tematiche che incidono realmente sulla vita delle persone e del Paese. Il tema della genitorialità in questa accezione potrebbe diventare il presupposto per una presa di posizione dei brand, che possono scegliere di cogliere questa sfida e porsi come partner attenti e affidabili dei propri consumatori”, conclude De Marco.

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