Occupazione femminile: dal terziario di mercato le maggiori opportunità, ma resta ampio il gap con l’Europa

 Occupazione femminile: dal terziario di mercato le maggiori opportunità, ma resta ampio il gap con l’Europa

Il tasso di occupazione delle donne in Italia è pari al 43,6% contro una media europea del 54,1%, un gap molto più ampio di quello relativo all’occupazione maschile (60,3% in Italia, 64,7% in Europa); se il tasso di disoccupazione femminile in Italia (11,1%) venisse portato al valore europeo (7,2%), si avrebbero 433mila donne occupate in più; nel confronto tra le macro aree italiane, il tasso di occupazione delle donne al Sud è pari al 28,9% contro il 52% del Nord; nel terziario di mercato, però, l’occupazione femminile supera quella maschile: rispetto al totale dell’economia italiana, infatti, in questo settore lavorano il 75% delle donne mentre la quota maschile è al 52%; infine, rispetto alle tipologie di contratto, su 100 donne occupate a tempo indeterminato nel complesso dell’economia italiana, il 69% è nel terziario di mercato, mentre per gli uomini la percentuale si ferma al 45,9%: questi i principali risultati che emergono da un focus sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro contenuto nel rapporto Terziario&Lavoro dell’Ufficio Studi di Confcommercio.

Per Anna Lapini, presidente nazionale del Gruppo Terziario Donna, che rappresenta le imprenditrici, lavoratrici autonome e professioniste associate a Confcommercio “il terziario di mercato è il settore scelto da sette donne su dieci che decidono di fare impresa, ma è anche il settore, come evidenziano le analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio, dove vi sono le maggiori opportunità di occupazione femminile. Occupazione di qualità, che Confcommercio sostiene anche promuovendo progetti concreti, come la certificazione di parità di genere, un sistema premiante per le aziende che contrasta il divario di genere in termini di inclusione professionale, di retribuzioni, di opportunità di carriera, di formazione, di conciliazione fra tempi di vita e lavoro”.

Nel dibattito sul lavoro e l’occupazione, che si intreccia con il più ampio tema della demografia declinante in Italia, un aspetto che va posto al centro dell’attenzione riguarda il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro.

L’Italia soffre di un cronico ritardo nel confronto con i principali partner internazionali. Se si valutano i dati del 2019, non inficiati dai riflessi statistici delle turbolenze che la pandemia ha prodotto sul mondo del lavoro, dell’economia e della società in generale, si rileva come il nostro Paese sia sostanzialmente allineato per i valori che riguardano la partecipazione della componente maschile al mondo del lavoro, mentre la distanza è ampia se guardiamo alla componente femminile.

La tabella 1 esprime il numero di occupati nell’UE27 e in Italia (ultima colonna) nelle sue determinanti che sono il complemento a uno del tasso di disoccupazione, il tasso di partecipazione della fascia di età 15-74 anni e la popolazione in questa fascia di età; la decomposizione è fatta per maschi e femmine. Moltiplicando questi fattori e sommando per i due generi si ottengono i valori dell’occupazione complessiva, indicati, appunto nell’ultima colonna.

Per quanto concerne gli uomini, se in Europa poco più del 69% della popolazione maschile tra i 15 e i 74 anni era presente nel mondo del lavoro, in Italia questa quota si collocava, nel 2019, al 66,3%. Tenendo presente la diversità dei tassi di disoccupazione (6,5% nella UE, 9,1% in Italia) ciò significa che in Europa il 93,5% degli uomini attivi nel mondo del lavoro è occupato ed in Italia poco meno del 91%. Queste cifre si traducono in una incidenza degli occupati sulla popolazione di riferimento del 64,7% nella UE27 e del 60,3% in Italia.

La distanza tra la realtà della UE27 e quella italiana assume toni decisamente allarmanti se si guarda, invece, alla componente femminile. In Italia solo il 49% delle donne tra i 15 ed i 74 anni partecipava, sempre nel 2019, al mondo del lavoro a fronte di una media del 58,3% nella UE27. Di questo 49,0% solo l’88,9% aveva un’occupazione (il tasso di disoccupazione per le donne nel 2019 era pari all’11,1%) il che equivaleva a circa 9,8 milioni: in alte parole le occupate sulla propria popolazione di riferimento in Italia erano il 43,6% rispetto a una quota del 54,1% nella media europea.

In sintesi, le distanze tra i tassi di disoccupazione non sono straordinarie, anche se comunque peggiori per l’Italia rispetto all’Europa. Il tasso di partecipazione maschile è, anch’esso, peggiore ma non troppo distante. Il problema sta proprio nella partecipazione femminile che sconta un gap di quasi dieci punti percentuali assoluti.

Per essere sicuri della validità di queste riflessioni modifichiamo i parametri uno alla volta per stabilire il potenziale guadagno di occupazione. Dalla tabella 1, con questo esercizio si ricava che:

  • eguagliando il tasso di disoccupazione maschile dell’Italia al valore dell’UE27 si avrebbero 384mila occupati in più;
  • eguagliando il tasso di disoccupazione femminile dell’Italia al valore dell’UE27 si avrebbero 433mila occupate in più;
  • eguagliando il tasso di partecipazione maschile al valore dell’UE27 si avrebbero 587mila occupati in più;
  • eguagliando il tasso di partecipazione femminile al valore dell’UE27 si avrebbero 1,873 milioni di occupate in più.

L’ultimo risultato, meccanico e ovvio, chiarisce dove è più profittevole puntare per migliorare le performance italiane sull’occupazione, e cioè sulle forze di lavoro, con ricadute positive sul benessere economico di tutta la popolazione. Le politiche economiche, in fondo, sono anche una questione di priorità.

Il lettore con qualche conoscenza delle cose dell’economia italiana non si sorprenderà se a questo punto si dirà del tasso di partecipazione femminile per grandi ripartizioni italiane: è il tema del ritardo del Sud rispetto al resto dell’Italia e, quindi, a maggior ragione, rispetto alle più dinamiche regioni europee.

Non c’è bisogno di troppi approfondimenti analitici: il tasso di partecipazione femminile, rispetto al valore medio europeo (tab. 1), al Nord è inferiore di due punti e mezzo, al Centro di cinque punti, al Sud di venticinque punti, fermandosi in quest’area al 36% circa. Per dare un ordine di grandezza dell’importanza dell’auspicabile incremento della partecipazione delle donne del Sud si propone un esercizio analogo a quello visto per misurare l’ampiezza del deficit Italia-UE27 a proposito della tabella 1. Se si sostituisce al tasso di partecipazione osservato nel Sud quello del Centro dell’Italia, intorno al 53%, quindi non quello massimo registrato del Nord, senza modificare il tasso di disoccupazione, il numero di donne occupate aumenterebbe di oltre un milione, coprendo il 55% della distanza complessiva tra Italia ed Europa in termini di occupazione femminile in percentuale della forza lavoro che si otterrebbe equalizzando i tassi del totale Italia a quelli della media europea.

Un tasso di partecipazione femminile del 36% rispetto a una media prossima al 50% in Italia e a quasi il 60% europeo, indica una vera e propria patologia. Combinato con un peggiore tasso di disoccupazione (quasi 20% nel 2019), ciò porta il numero di occupate nel Mezzogiorno a poco più di 2,2 milioni: vale a dire che solo il 28,9% delle donne tra i 15 ed i 74 anni delle regioni meridionali lavorava a fronte di una quota pari a quasi il 52% nel Nord. Nessuno si azzarderebbe a pensare che questa situazione sia frutto di una scelta individuale, e collettiva, presa liberamente: le nostre donne meridionali non lavorano perché il mercato e le condizioni ambientali non lo consentono non perché hanno deciso di fare altro.

Per migliorare questa condizione, che oltre alla dimensione etica e sociale ha rilievo per l’economia reale, al di là delle necessarie politiche attive e della riorganizzazione ad ampio spettro dei servizi a supporto della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, che scontano forti ritardi nel Mezzogiorno, la soluzione non può che passare per la valorizzazione della produttività e dall’incremento di innovazione e investimenti nel terziario di mercato.

Secondo le risultanze dell’Osservatorio Lavoro Confcommercio sul Terziario di Mercato (aprile 2023) basato su dati INPS, i più affidabili sulla materia del lavoro regolare, ad oggi su 100 donne regolarmente occupate (cioè nel totale dell’economia italiana salvo collaboratori domestici, agricoltura e pubblica amministrazione) con contratto di lavoro dipendente, 75 lavorano nel terziario di mercato. Per gli uomini occupati alle dipendenze il valore scende al 52% (tab. 2).

Guardando alle tipologie di contratto, su 100 donne occupate alle dipendenze nell’economia italiana nel complesso e con contratto a tempo indeterminato regolare, 69 lavorano terziario di mercato.

Su 100 occupati nell’industria e nei servizi finanziari assicurativi con contratto regolare 27 sono donne; lo stesso valore nel terziario di mercato è 50,5%, cioè una parità sostanziale rispetto ai colleghi maschi.

Le implicazioni per il rilancio dell’occupazione totale e per la più ampia e duratura creazione di benessere economico sono evidenti: il terziario di mercato è importante per le donne – e quindi per la società nel complesso – le donne sono importanti per il terziario di mercato – e quindi per l’economia nel complesso.

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