PMI italiane sotto assicurate: ancora elevato il gap con l’Europa

Sono 1 milione e 653 mila le piccole e medie imprese italiane non assicurate; le stesse PMI che oggi compongono più del 99% del tessuto socioeconomico del Paese. Secondo il recente studio “Next Level for Insurance – SME Segment”, realizzato da CRIF, IIA e Nomisma, quasi il 40% delle PMI italiane è attualmente senza copertura assicurativa. Stiamo parlando di 1 azienda su 3. Un dato poco confortante se rapportato all’attuale scenario macroeconomico molto incerto. Sebbene la cultura assicurativa delle PMI italiane stia aumentando negli ultimi anni, tanto che il 32% delle PMI italiane ha aumentato la propensione all’acquisto di polizze dopo l’emergenza sanitaria, la spesa annua (€14.000) per le coperture rimane però significativamente più bassa della media internazionale (€22.600) e sottostimare questa situazione potrebbe avere un impatto sulla redditività e la business continuity delle imprese.

Parallelamente alla bassa percezione dei rischi, anche il fattore “dimensione aziendale” incide sulla propensione a stipulare una copertura assicurativa. I dati dimostrano che le imprese di maggiore dimensione (con più di 200 dipendenti) tendono più frequentemente a sottoscrivere polizze rispetto alle organizzazioni più piccole, con meno di 50 persone. Più del 14% delle PMI sceglie, infatti, di non assicurarsi, anche per motivi economici. Secondo un’indagine sulle imprese industriali e dei servizi (INVIND) condotta da Bankitalia, uno dei principali motivi per la mancata assicurazione è la percezione dei premi elevati rispetto al danno atteso (56%): per il 38% delle PMI Italiane il costo è il secondo aspetto più importante nella scelta della polizza.

Complice di questa situazione l’assenza di una cultura assicurativa, la mancanza di informazioni esaustive sui prodotti assicurativi e la poca fiducia nei confronti delle compagnie. Il 38% degli intervistati sostiene di non conoscere adeguatamente le assicurazioni, le tipologie di polizze e gli strumenti digitali. E questo è sicuramente un limite, soprattutto a fronte dei profondi cambiamenti che ha registrato il mercato italiano negli ultimi anni.

I nuovi rischi

La trasformazione digitale senza precedenti e l’evoluzione dei modelli di consumo ha esposto le PMI a nuovi rischi, in particolare quelli riguardanti la sicurezza informatica, quali hacking, phishing e malware.

Da gennaio a giugno 2022, sono stati registrati in Italia 1.572 tra attacchi, incidenti e violazioni della privacy, a fronte dei 1.356 casi complessivi dello scorso anno. Lo rivela il report dell’Osservatorio Cybersecurity di Exprivia sulle minacce informatiche. Eppure, il fenomeno della sottoassicurazione continua a risultare particolarmente intenso per le coperture sui rischi cyber. I dati ci mostrano che solamente il 21% del campione ha stipulato una polizza cyber risk negli ultimi 12 mesi. Altri report mostrano quanto le PMI abbiano diminuito il budget destinato alla cybersecurity e alla formazione dei dipendenti nell’ambito.

Le coperture assicurative più diffuse sono invece quelle per danni per incendio e furto (94%) e per Responsabilità Civile verso terzi e dipendenti (93%). Inoltre, il 68% delle imprese ha stipulato una polizza contro i rischi naturali e climatici, dato però relativamente basso se si considera che l’Italia presenta un rischio ambientale elevato.

Negli ultimi anni abbiamo, quindi, assistito a un cambiamento delle necessità di copertura da parte delle PMI, con una conseguente evoluzione dell’offerta da parte dei player assicurativi – e del modo di proporla – ma la strada è ancora lunga. Oggi i piccoli imprenditori, professionisti e freelance sono coperti dall’attività commerciale degli agenti e dei piccoli broker. Per le attività più grandi, gli agenti svolgono a pieno la loro funzione supportando il cliente con la consulenza necessaria alla comprensione dei bisogni e alla personalizzazione delle soluzioni assicurative. Per le attività più piccole però questo non avviene: per gli agenti, non è sempre facile dedicare tempo e risorse alla personalizzazione delle polizze, soprattutto per i limiti di tempo e redditività; spesso i premi in gioco sono ridotti, la remunerazione potenziale dell’intermediario è bassa e quindi per l’agente è anti-economico allocare il tempo necessario alla consulenza.

Nella maggior parte dei casi si tende a ripiegare su soluzioni standard che comprendono coperture non necessarie, con un conseguente aggravio dei costi per il destinatario, generando quindi un forte malcontento nei clienti che si ritrovano con prodotti non coerenti con le loro specifiche esigenze operative, di cui spesso lamentano la scarsa trasparenza e comprensibilità.

Sebbene non esistano dei dati ufficiali sulla dimensione del mercato assicurativo in Italia generato dalle piccole imprese, professionisti e freelance, gli operatori del settore convergono verso un valore di circa 5 miliardi di euro all’anno. La componente che viene attualmente coperta dal canale digitale è pressoché vicina allo zero, anche considerando che l’offerta da parte del mercato è davvero limitata. Inoltre, secondo i dati dell’Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano nella Ricerca “Fintech & Insurtech nelle microimprese” sono oltre il 30% i clienti pronti ad abbracciare il canale digitale.

Questi dati mettono in luce il grande potenziale di crescita del segmento insurtech nel nostro Paese. Uno dei punti forza di questo comparto è, indubbiamente, la possibilità di offrire alle PMI un miglior servizio di consulenza assicurativa che difficilmente riceverebbe nel mercato tradizionale per le motivazioni citate precedentemente. Inoltre, i vantaggi dell’approccio totalmente digitale sono notevoli: la velocità di proposizione, l’efficacia, la scalabilità delle soluzioni offerte, la gestione completamente paperless delle pratiche (il preventivo, la firma digitale del contratto, l’archiviazione sostitutiva in cloud), la trasparenza e la tracciabilità dei consensi.

L’insurtech è la risposta a un’esigenza di mercato non soddisfatta e molto di più: da un lato sta lavorando per migliorare la gestione e la qualità dei dati per individuare, in modo ancora più efficace, i rischi di ogni singolo cliente al fine di offrire prodotti accessibili, sostenibili, modulari e, dall’altro, sta contribuendo a una vera e propria trasformazione culturale delle imprese italiane che storicamente hanno sempre avuto una cultura difensiva rispetto alla gestione del rischio e ora stanno evolvendo verso un approccio al risk management come leva strategica di impresa.

[1] Deloitte.

[1] Bankitalia.

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