La domanda da porsi in via principale è se il professionista risulti colpevole insieme al cliente in caso di illeciti fiscali di quest’ultimo.
Si immagini un’azienda che evade le tasse. Chi è responsabile? Ovviamente l’azienda. Ma se un professionista esterno (ad esempio un commercialista) l’ha aiutata, consigliata o ha materialmente preparato i documenti per realizzare l’evasione può essere sanzionato anche lui insieme all’azienda?
Per lungo tempo la legge e le pronunce della Corte di Cassazione (sentenze 13232/2022, 9448/2020, 24805/2021) sembravano rispondere negativamente sulla scorta dell’art.7 D.L. 269/2003 il quale stabilisce che le sanzioni amministrative per errori fiscali di società o enti con personalità giuridica ricadono esclusivamente sulla società o sull’ente stesso.
Tuttavia, a partire dal 2024 si è assistito ad un cambio di rotta da parte della Corte di Cassazione (sentenza 20823/2024 ), la quale ha completamente cambiato idea su tale questione.
Nello specifico i Giudici della Cassazione hanno stabilito che:
- l’esclusione di responsabilità previsto dall’art.7, co.1 D.L. 269/2003vale solo per le persone che fanno parte della società (ad es. amministratori);
- tale esclusione di responsabilità non riguarda i consulenti della società.
In particolare, se un professionista ha partecipato, anche solo dando il suo “contributo” materiale o psicologico, alla realizzazione dell’illecito fiscale del cliente, potrebbe essere sanzionato in concorso insieme al cliente stesso.
Tuttavia, registriamo una recente pronuncia della Suprema Corte che ha parzialmente “ammorbidito” la posizione. Infatti, con sentenza n.23229/2024 gli ermellini hanno dichiarato che per sanzionare il professionista è necessario che questi abbia perseguito suoi «specifici» vantaggi, diversi dal semplice compenso per la sua consulenza. In particolare, nella predetta sentenza viene sancito che “…tale vantaggio non può identificarsi nel compenso professionale percepito, anch’esso inquadrabile in una condotta esclusivamente finalizzata a conseguire benefici per la società, ma deve trattarsi di un quid pluris, cioè di benefici che vadano ben oltre il corrispettivo della propria prestazione, traducendosi in altri termini non già in una mera prestazione al servizio di un committente, ma in una diretta e comune finalità di concorso nell’attuazione di condotte soggettivamente intese a ottenere vantaggi economici non spettanti, mediante il compimento di illeciti fiscali…”.
Sarebbe sicuramente opportuna maggiore chiarezza sul punto.
Dott. Danilo Romano
Avv. Matteo Sances
