C’è una forma di leadership che nasce da buone intenzioni ma finisce per generare pessimi risultati. È il micromanagement: la tendenza, spesso inconsapevole, a controllare ogni dettaglio del lavoro dei collaboratori.
“Lo faccio per aiutare.”
“È solo per questa volta.”
“Voglio essere sicuro che venga fatto bene.”
Frasi apparentemente innocue, che nascondono però una dinamica pericolosa: il leader che non sa lasciare spazio, che si fida poco e interviene troppo. Nella PMI, dove le risorse sono limitate e la velocità è cruciale, questo atteggiamento può diventare un vero freno alla crescita.
Cos’è il micromanagement?
È uno stile gestionale in cui il capo:
• supervisiona ogni compito con eccessiva attenzione;
• controlla anche le decisioni minime;
• corregge costantemente il lavoro degli altri;
• dà istruzioni così dettagliate da impedire ogni autonomia.
È la differenza tra guidare un team e tenerlo al guinzaglio.
Perché accade?
Le radici del micromanagement sono spesso emotive:
• insicurezza personale (“se sbagliano, la colpa è mia”);
• esperienze negative (“una volta ho delegato… ed è andata male”);
• identificazione col controllo (“controllare è il mio modo di guidare”);
• paura del cambiamento (“abbiamo sempre fatto così”).
Il problema è che, in un’azienda in crescita, ciò che “ha sempre funzionato” può diventare il principale ostacolo.
I danni del micromanagement
• Demotiva le persone. Nessuno si impegna davvero se sente di non avere fiducia.
• Blocca lo sviluppo. Se tutto passa dal capo, nessuno impara a prendere decisioni.
• Sovraccarica il leader. Il micromanager è stanco, frustrato, sempre “in mezzo a tutto”.
• Rallenta l’organizzazione. Le decisioni si accodano. Le opportunità… si perdono.
Come uscirne?
• Chiediti: “Cosa succede se non intervengo?” Spesso… nulla di grave. O qualcosa di meglio.
• Fissa criteri, non soluzioni. Insegna come ragionare, non cosa fare.
• Definisci obiettivi, non istruzioni. Dai una direzione, non un copione.
• Accetta un margine d’errore. L’apprendimento passa anche dagli sbagli.
Una metafora utile: il giardiniere e la pianta
Un buon giardiniere non tira le foglie per far crescere la pianta. Prepara il terreno, annaffia, osserva… e si fida del processo.
Il micromanager, invece, tira ogni giorno lo stelo, lo misura… e alla fine rischia di spezzarlo.
Ma delegare non basta: chi riceve deve saper ricevere
La delega è una relazione a due. Il leader deve imparare a lasciare andare, ma il collaboratore deve essere capace di prendersi la responsabilità.
Ecco 5 qualità chiave di un collaboratore cui delegare:
1. Affidabilità. Fa ciò che promette, nei tempi concordati.
2. Capacità di chiedere. Sa quando ha bisogno di un chiarimento.
3. Autonomia responsabile. Prende decisioni allineate con i criteri ricevuti.
4. Attitudine al miglioramento. Dopo ogni attività, riflette su come migliorare.
5. Gestione dell’errore. Se sbaglia, non cerca colpe ma soluzioni.
Tre storie vere di delega ben riuscita
• Studio tecnico. Una collaboratrice gestisce i clienti morosi con un sistema a tre fasi che diventa il modello interno.
• Officina meccanica. Un magazziniere automatizza i riordini dopo una prima fase di affiancamento.
• Impresa edile. Un assistente geometra prende in carico i rapporti con il Comune, studia, agisce e libera tempo al capo progetto.
Chi non delega, si esaurisce.
Chi non sa ricevere deleghe, resta un operativo.
Chi vive la delega come una sfida condivisa cresce e fa crescere.
La frase su cui riflettere
“Non dire alle persone come fare le cose. Dì quale è l’obiettivo… e lascia che ti sorprendano con i loro risultati”, George S.Patton generale americano.
Esperta di strategie e management per le PMI e business coach, autrice di libri e docente di management in varie Business School.
Guida Community di Imprenditori imprenditrici e manager per potenziare le loro capacità di crescita nel business.
Dagli incontri delle Community sono tratte una serie di “pillole” pubblicate su questo giornale.