Quanto è in salute la tua azienda?

Il Forum Ambrosetti, che si svolto a Cernobbio dal 5 al 7 settembre 2025 ha fatto emergere un trend economico interessante, un indicatore prezioso su cui costruire visione e priorità: cresceranno le esportazioni delle PMI italiane. Per il 2025 è atteso un incremento del 6,2%, nel 2026 un +4% Le esportazioni dovrebbero superare i 300 miliardi di euro.

Le PMI italiane realizzano circa un terzo del fatturato all’estero e contribuiscono alla metà dell’export nazionale (48%), rispetto a quote molto inferiori di Germania (20%) e Francia (20%)  .

Perché questa tendenza è strategica per le PMI?

Per 3 ragioni:

  1. Spinta internazionale: un dato forte di export indica resilienza, accesso ai mercati globali e diversificazione del rischio, con potenzialità di crescita strutturale.
  2. Filiere globali: molti settori tradizionali italiani funzionano grazie alla presenza in catene internazionali del valore, dove le PMI sono attori chiave.
  3. Doppia transizione: green e digitale favoriscono l’export. Le imprese che investono in sostenibilità e innovazione esportano con +20 punti percentuali di probabilità rispetto a quelle che non lo fanno.

Attenzione ai numeri:

E in casa di ciascuno di noi? Come possiamo investire se non siamo, noi per primi, in buona salute?

La salute dell’impresa ha 3 indicatori semplici e implacabili: Ebitda, Punto di pareggio e Indebitamento.

  1. Ebitda, il termometro del motore operativo

L’Ebitda (Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortization) misura la capacità dell’impresa di generare margini dalla gestione ordinaria.

In altri termini, quanto resta in tasca prima di interessi, tasse e ammortamenti.

Ad esempio: una PMI metalmeccanica fattura 10 milioni, con costi operativi per 8,5 milioni. L’Ebitda è 1,5 milioni: un buon segnale, perché significa che il motore operativo gira. Se fosse 200 mila, invece, l’azienda vivrebbe col fiato corto, e basterebbe poco, un ritardo negli incassi, un aumento del costo delle materie prime, per mandarla in tilt.

  1. Punto di pareggio, la soglia di sopravvivenza

Il break-even è il momento in cui i ricavi coprono tutti i costi. Sotto, si perde. Sopra, si guadagna.

Ad esempio: un’azienda alimentare con costi fissi di 1,2 milioni e margine unitario di 12 euro per prodotto deve venderne almeno 100.000 pezzi per stare in piedi. Tutto ciò che vende in più, è margine puro. Conoscere questo numero non è un dettaglio: è l’asticella che separa l’ansia quotidiana dalla programmazione consapevole.

  1. Indice di indebitamento, il peso dello zaino

Il debito non è un male di per sè. È uno strumento. Ma va gestito con attenzione. L’indice di indebitamento, cioè il rapporto tra debiti finanziari e patrimonio netto mostra quanto l’impresa dipende dalle banche.

Esempio pratico: un’azienda di servizi con 3 milioni di debiti e 1,5 milioni di patrimonio netto ha un rapporto 2:1. Significa che ogni euro messo dai soci è raddoppiato dalle banche.

Se la leva è usata per crescere, bene. Se invece serve a tappare buchi, diventa una zavorra.

La morale per gli imprenditori

Gli imprenditori spesso si concentrano su fatturato e clienti. Bene, ma non basta. Un’azienda può crescere a doppia cifra e ammalarsi lo stesso, se l’Ebitda non tiene, il break-even è troppo alto o lo zaino del debito pesa troppo.

La salute di un’impresa si legge in tre righe di bilancio. Non a fine anno, adesso.

Per questo, ogni imprenditore dovrebbe chiedersi ogni mese:

  • Quanto margine sto generando davvero?
  • Qual è la mia soglia di sopravvivenza?
  • Quanto pesa il mio zaino del debito?

Le risposte fanno la differenza tra chi resiste e chi lascia il campo.

Il rischio maggiore per un’impresa non è la volatilità dei mercati. E’ l’assenza di una direzione chiara e della consapevolezza dei numeri chiave per orientare le proprie scelte.

La frase su cui riflettere

“Il vero rischio deriva dal non sapere bene cosa si sta facendo”, Warren Buffett, imprenditore e investitore.

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