Reddito, nuove generazioni in equilibrio precario

Negli ultimi 40 anni in Italia chi ha beneficiato di più della crescita del reddito è stata la fascia di popolazione più anziana. All’estremo opposto l’aumento è stato più modesto per i giovani. Il fenomeno, inoltre, trova riscontro anche fuori dai confini nazionali, come confermato da varie analisi condotte in altri paesi [1]. Negli anni più recenti, poi, la forbice si è ampliata: la crisi, infatti, ha impattato relativamente di più su chi sta entrando (o è entrato da poco) sul mercato del lavoro, rispetto agli over 64, i cui redditi, prevalentemente pensionistici, sono più svincolati dal ciclo economico [2].
La stessa analisi condotta per coorti mostra che il profilo dei redditi dei millennial sembra avviato ad una evoluzione meno favorevole rispetto a quella delle generazioni precedenti, specialmente rispetto ai baby boomers. Anche la generazione X, partita su livelli simili a quelli dei propri genitori, ha visto aumentare il gap reddituale. Queste dinamiche si sono riflesse anche sulla distribuzione della ricchezza, cresciuta per i senior a ritmi più sostenuti di quelli medi.

Il progressivo depauperamento delle generazioni più giovani rispetto a quelle più anziane presenta criticità anche in considerazione delle prospettive demografiche caratterizzate da una sempre maggiore incidenza degli over 64 in rapporto alla popolazione attiva. A ingessare ulteriormente il quadro contribuisce una mobilità sociale che in Italia è inferiore a quella delle principali economie avanzate [3], evidenziando una società in cui tanto il livello di istruzione quanto lo status economico degli individui è molto correlato a quello dei genitori.

Una strategia volta a favorire un’inversione di rotta non può che fare perno sull’istruzione. Un paese che non evolve nelle competenze, infatti, è destinato a rimanere indietro sotto il profilo economico oltre che su quello sociale. Non che in Italia non siano stati fatti passi avanti: i diplomati che nel 1971 erano il 7% della popolazione sono arrivati al 30% nel 2011 e nello stesso lasso di tempo i laureati sono passati dal 2% all’11%. L’innalzamento del livello di istruzione, però, non è stato sufficiente a colmare i gap che separano il paese dalle principali economie avanzate: in Italia l’incidenza dei laureati sulla popolazione attiva è del 17% rispetto al 25% della Germania e al 28% dell’UE e differenze marcate si notano anche per i diplomati. Un quadro ben poco roseo emerge anche dalla valutazione delle competenze. Per ciò che riguarda la popolazione adulta l’Italia mostra un punteggio più basso della media OECD e un recente lavoro della Banca Mondiale [4] mostra come gli studenti italiani della scuola secondaria superiore abbiano totalizzato un punteggio relativamente basso, peraltro realizzando tra il 1980 e il 2015 un miglioramento di entità modesta.


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